Editoriali

NUOVE COMPETENZE: CONTROLLO DEI FATTI E GESTIONE DELL’INFORMAZIONE

Le tecnologie hanno cambiato il mondo negli ultimi decenni dandoci la possibilità di comunicare on line con grande facilità ma inondandoci, nel contempo, di false notizie e di una enormità di informazioni nei confronti delle quali dobbiamo avere la capacità di selezione e discernimento tra quelle affidabili da quelle non affidabili.

Prima di procedere, una premessa di carattere linguistico sui tempi che stiamo vivendo. Il mondo dell’informazione, sia stampata che televisiva, continua, ormai da tempo, ad utilizzare molti vocaboli inglesi in voga come fake news, al posto di false notizie, oppure facts checking, al posto di controllo dei fatti, come pure lock down, screen time, etc. Sebbene quando si parla o si scrive di tecnologie si usano tantissimi termini in lingua inglese che sono certamente di uso comune, è necessario, per rispetto del lettore, in particolare in una rivista di divulgazione come questa, l’essere più comunicativi  e chiari possibili.

Questa rivista si impegna, con la collaborazione di tutti i redattori e collaboratori, ad utilizzare il più possibile termini tecnici in italiano e dove proprio necessita un termine in lingua straniera ad indicarne il significato. L’italiano è la lingua della cultura e della musica, amata in tutto il mondo. Chi scrive, che è stato per molti anni docente di lingua inglese, ritiene che, nella comunicazione orale e scritta,  non bisogna esagerare nell’uso di anglicismi; non usiamo termini stranieri in quanto non serve sfoggiare una presunta competenza linguistica.

Tornando al tema, il controllo dei fatti è una competenza trasversale, ormai indispensabile per non cadere vittima di tranelli e della disinformazione.

Da questo numero si apre una nuova rubrica, Informazione, disinformazione e Intelligence, che darà conto delle realtà e dei progressi nel campo della lotta alla disinformazione e delle modalità di attivare il controllo dei fatti.

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CYBERWAR e “FUOCO DIGITALE”: L’ALTRA FACCIA DELLA GUERRA RUSSIA - UCRAINA

Una guerra più sottile e meno evidente, ma molto pericolosa e difficile da fronteggiare, parallela a quella che vediamo nei notiziari e nei reportage dalla Ucraina, è quella degli attacchi informatici.

Lo scopo principale della cyberwar, guerra cibernetica o informatica, è di minare, utilizzando azioni di sabotaggio informatico, i sistemi necessari per il funzionamento di uno Stato e di un’economia, come l’energia elettrica, la distribuzione del gas e dell’acqua, reti finanziarie e commerciali.

In questo numero, nell’articolo Cyberwar: sicurezza e prevenzione, mettiamo in evidenza, tra l’altro, che “negli ultimi due anni migliaia di aziende nel mondo hanno subito gravi disagi economici e logistici causati da attacchi-ricatti informatici”; ci soffermiamo, inoltre, sul ruolo che la disinformazione e le false notizie, tema che trattiamo molto spesso nei nostri articoli, hanno in questo contesto storico che stiamo vivendo.

Gli attacchi informatici non sono una novità ma la guerra tra Russia e Ucraina che vedono coinvolti interessi globali rischia di diventare una vera guerra informatica che può essere letale per gli interessi e l’economia di una nazione quanto una guerra tradizionale.

Di recente, il 24 febbraio scorso, quando è partita l’offensiva della Russia nei confronti dell’Ucraina, un gruppo di cybersicurezza estone di nome Eset ha intercettato ed identificato un attacco Wiper che consiste in un malware che aveva cancellato il sistema informatico di una banca ucraina e di un’agenzia governativa. Gli aggressori, per coprire le loro tracce, hanno usato, come spesso succede, un certificato digitale appartenente ad una piccola società, in questo caso, di giochi con sede a Cipro denominata Hermetical Digitale Ltd. Sembrerebbe che questo software, definito con il nome di “Hermeticwiper” che si è poi diffuso in Lituania e in Lettonia, faceva parte della guerra informatica parallela già in atto tra la Russia e l’Ucraina.

Gli attacchi informatici contro l’Ucraina sono incominciati prima dell’invasione con le truppe di terra. Il governo ucraino ha segnalato un cyber attacco il 14 gennaio che ha preso di mira siti governativi come quello del ministero degli esteri e del consiglio della difesa. Nel mese di febbraio gli esperti di sicurezza informatica dell’Ucraina hanno segnalato un attacco DDoS (distributed-denial-of-service), contro due delle maggiori banche del Paese che è stato realizzato con l’invio di un numero spropositato di richieste di accesso ad un sito tale da mandarlo in blocco.

Gli attacchi informatici avvengono anche in parallelo e per ostacolare situazioni sul campo; una prossima mossa degli hacker russi potrebbe essere quella di disabilitare il sistema informatico utilizzato dai treni per spostare le truppe al fronte ed inceppare le linee telefoniche utilizzate dai militari.

Nadiya Kostyuk, docente alla Georgia Tech School of Public Policy, ha dichiarato al Rest of World che la Russia ha utilizzato negli ultimi anni l’Ucraina come laboratorio per operazioni di attacchi informatici come quando hacker russi, nel 2015 e 2016, hanno oscurato porzioni di territorio dell’Ucraina, nel 2017 hanno lanciato il virus Notpetya il quale, prima di diffondersi in tutto il mondo, ha attaccato agenzie governative ucraine, gruppi bancari e la centrale nucleare di Chernobyl. Gli hacker russi sono stati anche collegati ad attacchi negli Stati Uniti di tipo ransonware ovvero attacchi informatici con richiesta di riscatto.

Nel 2020 gli hacker russi hanno dimostrato una grande capacità di infiltrarsi di nascosto nelle reti governative utilizzando la vulnerabilità nel software della rete informativa Solarwinds inserendosi nei sistemi informatici di uffici governativi e agenzie di molti paesi, compresi gli Stati Uniti, curiosando all’interno di quei sistemi per almeno un anno senza essere scoperti.

Questa situazione impone l’organizzazione di task force in ogni nazione per fronteggiare gli attacchi informatici e di una normativa specifica che possono tener conto delle diverse problematiche ad essa connesse. Lo scorso 2 marzo su Twitter compare una notizia ed un appello diffuso dal numero due del governo Ucraino, Mykhailo Fedorov, ministro per la trasformazione digitale, che dice: “Stiamo creando un esercito IT. Abbiamo bisogno di talenti digitali”. Questa notizia, approvata pienamente dal presidente ucraino Zelensky che ha invitato ad unirsi all’esercito informatico, ha subito visto l’adesione di migliaia di esperti provenienti da diverse nazioni.

Sebbene Putin continua a dire che non ha scatenato una guerra ma solo “un’operazione speciale nei confronti dell’Ucraina”, una dichiarazione di guerra nei confronti della Russia c’è stata, quella del gruppo di hacher Anonymous che hanno rivendicato attacchi DDoS contro obiettivi russi e preso dati dal produttore di armi bielorusso Tetraedr.

Sono  molti gli aspetti che rendono unica questa guerra che vede un’informazione veicolata massicciamente anche attraverso i dispositivi mobili come i cellulari; ma la realizzazione di gruppi di “fuoco digitale”, organizzati e progettati per intervenire in una zona di guerra in rapida evoluzione è davvero senza precedenti.

Una cosa è certa, tra i due anni di pandemia e questa guerra su più fronti, che di fatto con le sanzioni è diventata globale e coinvolge tutti, il mondo intero e la nostra vita non sarà più la stessa. Noi siamo profondamente consapevoli che è giunta l’ora di dichiarare la guerra, in un mondo globale e interconnesso, anacronistica e non conveniente per le nazioni e per i loro popoli, che poi sono, come stiamo vedendo, i primi a pagare. Solo quando le grandi potenze mondiali si uniranno per fare guerra all’inquinamento globale, all’egoismo, per permettere la ripresa di un equilibrio naturale che sembra compromesso, e combattere la povertà e lo sfruttamento, allora potremo dire che è iniziata davvero un’era di speranza e di pace.

Tra le tante iniziative molto valide di solidarietà e di riflessione per la pace tra i popoli, sento il dovere di segnalarvi una iniziativa, una petizione on line diffusa in più lingue, della quale sono il promotore insieme al professore Gaetano Mollo dal titolo Una nuova politica planetaria per un’etica della cooperazione. I link della petizione in lingua italiana e in lingua inglese, presto in spagnolo, sono disponibili di seguito nella sitografia. Vi invito a sottoscriverla e a diffonderla al fine di sensibilizzare le persone per realizzare quella che oggi sembra davvero un’utopia, nella quale vogliamo però credere, la pace nel mondo.

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Sitografia:

https://symantec-enterprise-blogs.security.com/blogs/threat-intelligence/ukraine-wiper-malware-russia

https://www.reuters.com/world/europe/ukrainian-government-foreign-ministry-parliament-websites-down-2022-02-23/

https://www.npr.org/2022/01/19/1074172805/more-than-70-ukrainian-government-websites-have-been-defaced-in-cyber-attacks?t=1649059137352

https://www.wired.com/story/russia-ukraine-ddos-nft-nsa-security-news/

https://restofworld.org/2022/russias-cyber-war-ukraine-risks-death-collateral-damage/

https://www.wired.com/story/notpetya-cyberattack-ukraine-russia-code-crashed-the-world/

https://www.cisa.gov/uscert/russia

https://www.reuters.com/world/exclusive-ukraine-calls-hacker-underground-defend-against-russia-2022-02-24/

https://www.thedailybeast.com/anonymous-hackers-claim-responsibility-for-cyberattacks-against-russian-state-news-site-rtcom

Petizione in lingua italiana:

https://www.change.org/p/petizione-per-una-nuova-politica-planetaria-per-un-etica-della-cooperazione

Petizione in lingua inglese:

https://www.change.org/p/a-new-planetary-politics-for-an-ethics-of-cooperation

 

IL TEMPO NELL'ERA DIGITALE

Linizio di un nuovo anno scandisce, nelle nostre vite, uno dei momenti più carichi di aspettative e di riflessioni. Contiamo le ore, i minuti e poi perfino i secondi in attesa della mezzanotte, lora zero che dà inizio al nuovo anno. Poi durante le nostre giornate continuiamo a trattare il signor Tempo, sì perché il Tempo è il nostro signore, come se non contasse nulla, come se fosse a nostra disposizione per riempirlo di piacevoli passatempi, di televisioni, di attività nelle reti sociali on line ed altro. Altre volte quando non siamo proprio convinti di qualcosa che ci chiedono di fare, o che abbiamo la possibilità di fare, diciamo a noi stessi: Non ho tempo! Magari lo farò più tardi o unaltra volta!”.

Sfruttamento dei minori e uso di Internet di Luigi A. Macrì

La condizione di sfruttamento dei bambini nelle varie forme risulta sempre di più allarmante in quanto, ai rischi di adescamenti on line da parte di pedofili e maniaci vari, si aggiunge lo sfruttamento di video a fini pubblicitari, e di marketing di prodotti per bambini, da parte di aziende, con la complicità di genitori consenzienti visti i lauti guadagni.

Riguardo al primo aspetto, lo sfruttamento sessuale dei bambini, i dati raccolti segnalano che nel 2010 i casi di abuso dei minori segnalati sono stati, nel mondo, più di un milione; nel 2019 sono saliti a quasi 17 milioni con l’aggiunta di circa 70 milioni di video e immagini correlate.

Agenzia per la cybersicurezza nazionale e PNRR di Luigi A. Macrì

E’ stato approvato in via definitiva, nella seduta del Senato dello scorso 3 agosto, il disegno di legge di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 14 giugno 2021, numero 82, che istituisce l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale che dovrà essere operativa già nel mese di settembre. Dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Legge, si è proceduto alla nomina del Direttore Generale dell’Agenzia nella persona di Roberto Baldoni che lascia dopo quattro anni la vicedirezione del DIS (Dipartimento per l’Informazione e la Sicurezza). La nomina di queste figure apicali dell’Agenzia è di competenza del Presidente del Consiglio dei ministri sebbene avvenga “previa deliberazione del Consiglio dei ministri” e informando, oltre al Copasir, “le Commissioni parlamentari competenti” a cui dovranno essere anche trasmessi il bilancio consuntivo e la relazione della Corte dei conti.

Con questa nomina si va verso il completamento della riforma della governance per la cybersecurity italiana. L’Agenzia, con personalità giuridica di diritto pubblico, e il SISR (Sistema di Informazione per Sicurezza della Repubblica) opereranno in stretto raccordo sebbene con una chiara separazione delle competenze. Il Governo ha individuato l’Agenzia quale Centro di coordinamento italiano che dovrà interfacciarsi con il “Centro europeo di competenza per la cybersicurezza nell’ambito indistriale, tecnologico e della ricerca” di recente istituzione.

L’approvazione, da parte del Senato, della Legge per la costituzione dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale è coincisa con l’attacco informatico ai server della Regione Lazio, avvenuta il primo agosto, che ha paralizzato il sito della stessa e bloccato il portale per la prenotazione dei vaccini.

Gli attacchi da parte di pirati informatici finalizzati spesso a richieste di riscatto (ransomware), in particolare nella pubblica amministrazione, sono aumentati in modo esponenziale. Questa condizione di grande insicurezza ha maggiormente sviluppato, nei diversi ambiti pubblici e privati, la consapevolezza che il tema della sicurezza informatica, in particolare a livello nazionale, riveste un’importanza fondamentale poiché è necessario garantire la disponibilità, l’integrità e la riservatezza delle informazioni del Sistema informativo.

La nascita dell’Agenzia è stata indubbiamente opportuna, sebbene alquanto tardiva, in quanto ha centralizzato competenze prima distribuite ad una molteplicità di ministeri e agenzie di intelligence.

Nel PNRR[1] (Piano Nazionale Ripresa e Resilienza) negli obiettivo generali della “Missione 1 C1: Digitalizzazione, Innovazione e Sicurezza nella PA” troviamo, testualmente i seguenti impegni:

Digitalizzare la Pubblica Amministrazione italiana con interventi tecnologici ad ampio spettro accompagnati da riforme strutturali:

  • Supportare la migrazione al cloud delle amministrazioni centrali e locali, creando un’infrastruttura nazionale e supportando le amministrazioni nel percorso d i trasformazione
  • Garantire la piena interoperabilità tra i dati delle amministrazioni
  • Digitalizzare le procedure/interfacce utente (di cittadini e imprese) chiave e i processi interni più critici delle amministrazioni
  • Offrire servizi digitali allo stato dell’arte per i cittadini (identità, domicilio digitale, notifiche, pagamenti)
  • Rafforzare il perimetro d i sicurezza informatica del paese − Rafforzare le competenze digitali d i base dei cittadini
  • Innovare l’impianto normativo per velocizzare gli appalti ICT e incentivare l’interoperabilità d a parte delle amministrazioni • Abilitare gli interventi d i riforma della PA investendo in competenze e innovazione e semplificando in modo sistematico i procedimenti amministrativi (riduzione d i tempi e costi)
  • Sostenere gli interventi d i riforma della giustizia attraverso investimenti nella digitalizzazione e nella gestione del carico pregresso d i cause civili e penali

Per questa parte del Piano sono previsti 9,75 miliardi di euro per i diversi ambiti e misure di intervento.

A seguito di questa vasta azione di digitalizzazione, il tema della cybersicurezza diventerà sempre più rilevante; ancor di più man mano che si svilupperanno le innovazioni tecnologie, e sorgeranno nuovi rischi, come si afferma nella relazione della Camera dei Deputati sul Ddl di conversione del Dl 82/2021, “come quello di introdurre vulnerabilità strutturali all’interno di servizi e funzioni essenziali dello Stato, che potrebbero essere usate per finalità criminali o per gli interessi di altri attori statuali, come ad esempio nelle reti 5G o nei sistemi di intelligenza artificiale.".

E’ certo che la sicurezza digitale, nel pubblico e nel privato, diventerà un elemento centrale nel nostro prossimo futuro con il quale dobbiamo tutti fare i conti.

 

[1] https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR.pdf

 

TECNOLOGIE DIGITALI E FUTURO DEL LAVORO: QUALI PROSPETTIVE?

Partecipare al dibattito pubblico sul futuro del lavoro, per comprendere quali saranno i suoi sviluppi, significa tener conto principalmente dell’impatto che le innovazioni tecnologiche hanno e avranno sulla trasformazione del lavoro, sul ruolo dell’automazione, della globalizzazione e dell’invecchiamento della forza lavoro.

I governi, le aziende pubbliche e private, gli studiosi del mondo del lavoro, dalle diverse prospettive, stanno affrontando la sfida di come sia possibile utilizzare questi sviluppi per promuovere la crescita economica, garantendo allo stesso tempo un lavoro dignitoso, una retribuzione equa e un'adeguata sicurezza sociale.

Il digitale e l’apporto delle nuove tecnologie stanno evolvendo e trasformando il mondo del lavoro provocando la nascita di nuove forme di lavoro che affiancano quelle tradizionale e, nel contempo, la scomparsa di molte altre.

La ricerca Randstad[1] sul futuro del lavoro pubblicata nel 2019 rileva le seguenti tendenze che influenzeranno il mondo del lavoro:

  • Progresso tecnologico ed automazione: da parte delle aziende è in continuo aumento l’uso dell’ Intelligenza Artificiale, l’analisi dei dati e la robotica, nelle sue diverse forme. Questa tendenza sta accedendo trasversalmente in tutti i settori e in molti paesi;
  • Aumento della diversità delle forme di lavoro: la ricerca mette in evidenza che accanto alle forme tradizionali di lavoro, come lavorare per trenta o più ore settimanali per un’azienda, sono sorte nuove forme di lavoro flessibile, come quello dei freelance dando una forte spinta alla crescita del cosiddetta gig economy.[2] Risulta che negli stati membri dell’Unione Europea il 40% del lavoro si svolge, stabilmente, secondo le modalità tradizionali. Molte nuove forme di lavoro nascono dalla non-occupazione o da un lavoro informale, a prestazione;
  • Invecchiamento della forza lavoro: alcuni paesi hanno un tasso di persone anziane più alto degli altri. Secondo questa ricerca questo aspetto potrebbe influenzare, come avviene anche in Italia e ne abbiamo parlato in precedenti articoli ed editoriali, la direzione della ricerca tecnologica protesa verso aspetti sanitari.
  • Globalizzazione ed urbanizzazione: è ormai un fatto assodato che la globalizzazione ha portato la ridistribuzione del lavoro in tutto il mondo; l’urbanizzazione definisce dove le attività vengono svolte in ciascun paesi. La tecnologia ha permesso di poter accedere al mercato globale del lavoro e di poter lavorare da quasi tutti i paesi del mondo. Nel 1950 il 40/60% del lavoro veniva svolto nelle aree urbane; oggi la percentuale è aumentata del 60/80%.

Un tema molto attuale e dibattuto è quello riguardante l’impatto occupazionale delle tecnologie sul lavoro: con lo sviluppo delle tecnologie vi sarà sempre maggiore disoccupazione oppure i posti di lavoro aumenteranno? Secondo Anka Gajentaan, vicepresidente di Global Concept Professionals, Randstad Global, “la digitalizzazione e l’automazione aumentano i posti di lavoro in tutti i mercati e settori.”.

Dalla ricerca Randstad emerge che un lavoro su sette sparirà e uno su tre subirà delle modifiche.

Un altro aspetto che non bisogna sottovalutare è il ruolo che ha avuto il lavoro a distanza, comunemente definito smart working, in questo periodo di pandemia che ancora stiamo vivendo. È appena il caso di sottolineare che i termini telelavoro e smart working hanno un significato diverso: il primo definisce semplicemente una prestazione lavorativa svolta in contesto diverso da quello aziendale; il secondo, lo smart working è una vera e propria filosofia aziendale che introduce un nuovo rapporto del lavoro con il tempo e lo spazio in cui si opera ovvero si basa sul raggiungimento di obiettivi prefissati e non precede una postazione fissa e vincoli di orario.

Questi aspetti vanno a dissolvere il legame che di solito c’è sempre stato tra il luogo in cui si vive e il lavoro che si svolge, sia esso aziendale, pubblico, privato e professionale. In Italia è emerso il fenomeno dello south working ovvero il fatto che, in questo periodo di pandemia, diversi lavoratori delle grandi città del nord, si sono spostati al sud per lavorare da remoto in luoghi dove vi sono rapporti familiari e dove il costo della vita è più basso. Quello che ci chiediamo è se questi cambiamenti di vita e di lavoro rimarranno anche dopo la conclusione della pandemia. Secondo un sondaggio della Cisco il 46% dei lavoratori statunitensi prevede, a pandemia conclusa, di fare smart working per almeno una settimana al mese; anche l’AIDP - Associazione Italiana Direttori del Personale ritiene che, al ritorno alla normalità, il 68% delle aziende prolungherà le attività di smart working.

Se, comunque, vogliamo sapere quali sono i lavori che oggi danno più possibilità di lavoro con un confronto anche sul guadagno dobbiamo consultare l’importante ricerca di Almalaurea[3] che proprio i questi giorni ha pubblicato il suo rapporto sulla condizione occupazionale in Italia basato su una rilevazione che ha interessato ben 291.000 laureati di 76 atenei distribuiti in tutta Italia. Ad esempio, i dati mostrano che un laureato in Informatica trova lavoro prima degli altri, con un tasso di occupazione pari al 97% e stipendi in media di € 1.800, guadagnando quindi di più di un laureato in lettere. Al secondo posto troviamo ingegneria industriale e dell’informazione con un tasso di occupazione pari al 96,4% e uno stipendio medio di € 1.800. A seguire la facoltà di economia con un tasso di occupazione pari al 91,5% e uno stipendio medio di € 1.600.

Da quanto sopra indicato, emerge chiaramente che le riflessioni necessarie per comprendere il futuro del lavoro, per una scelta consapevole del proprio percorso di studi universitario, devono necessariamente passare attraverso la capacità di lettura dei dati a disposizione e la consapevolezza delle dinamiche presenti nel mercato del lavoro.

La nostra associazione, il gruppo di lavoro di questa rivista è attivo in un’azione interistituzionale per fare in modo che adolescenti, ma anche i preadolescenti, incominciano ad essere informati e, pertanto, a riflettere su quanto sta cambiando nel mondo in cui vivono.

di Luigi A. Macrì - Direttore editoriale www.ictedmagazine.com


 [1] https://www.randstad.it/randstad-employer-brand-research-2021/

[2] È un neologismo, un “modello economico”, come suggerisce l’enciclopedia Treccani, basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo, e non sulle prestazioni lavorative stabili e continuative, caratterizzate da maggiori garanzie contrattuali”. https://www.treccani.it/vocabolario/gig-economy_%28Neologismi%29/

[3] Rapporto Almalaurea: https://www.almalaurea.it/sites/almalaurea.it/files/comunicati/2021/cs2_rapporto_2021_almalaurea_18_giugno_unibg.pdf

ECOLOGIA E TECNOLOGIE, VERSO LA SOBRIETÀ di Luigi A. Macrì

ECOLOGIA E TECNOLOGIE, VERSO LA SOBRIETÀ di Luigi A. Macrì1

1-Direttore editoriale

Abstract - Quando si parla di tecnologie digitali come elementi per uno sviluppo sostenibile s’intende porre l’accento sul fatto che le stesse consentono la dematerializzazione di molte attività come ridurre l’uso della carta, ridurre gli spostamenti fisici con meno carburante e meno inquinamento, migliorare i processi manifatturieri e ridurre l’uso di energia e materie prime).

L’uso eccessivo delle piattaforme digitali, la mancanza di un’educazione “ecologica” nell’uso delle tecnologie comporta, comunque, il rischio di vanificare gli sforzi per ridurre l’inquinamento globale.

Cerchiamo di spiegarci chiedendoci, nei diversi aspetti, il livello di green delle tecnologie.

Per comprendere l’impatto delle tecnologie sull’ambiente dobbiamo tener conto che i diversi dispositivi tecnologici, quali i diversi tipi di computer e telefoni cellulari e non, i router e tutti i dispositivi utilizzati per le telecomunicazioni, grandi e piccoli, dell’Internet of Things e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, hanno effetti, principalmente, sull’ambiente contribuendo al riscaldamento globale, all’inquinamento e al depauperamento di risorse limitate come alcuni minerali.

La cosiddetta “impronta digitale”, ovvero l’energia consumata per usare tutte le apparecchiature digitali di tutto il pianeta, dai server, ai terminali, alla trasmissione dei dati, cresce al ritmo del 9% annuo. Atteso che gran parte dell’energia elettrica è prodotta da sorgenti fossili, il continuo aumento dell’energia elettrica dovuto al continuo aumento delle tecnologie nelle diverse forme contribuisce indirettamente all’aumento dell’anidride carbonica ed all’effetto serra. È stato calcolato che un’email di un MegaByte produce la stessa quantità di CO2 prodotta da una da 60 w accesa per circa mezz’ora; pertanto l’aumento del traffico digitale dal 2013 al 2018 ha contribuito per circa 450 milioni di tonnellate all’effetto serra globale. Lo spreco energetico e continuo e, il più delle volte, inconsapevole in quanto sembrerebbe che anche guardare un video in cloud per dieci minuti richiede la stessa energia necessaria per alimentare, per lo stesso tempo, 1500 telefonini.

Ormai c’è la consapevolezza che le tecnologie sono energivore e si rischia di vanificare i miglioramenti ambientali per ridurre il riscaldamento globale.

Dai dati raccolti ed elaborati risulta che, nonostante una parte di energia che viene utilizzata per le tecnologie, in particolare per i grandi server, sia rinnovabile, l’emissione di gas serra dovuta alle tecnologie digitali risulta il 4% del totale. Basti pensare che i gas serra dovuti ai mezzi di trasporto come automobili, motociclette e veicoli leggeri raggiungono l’otto per cento del valore totale di CO2, mentre quello del traffico aereo è del 2% del valore totale calcolato in 40 miliardi di tonnellate annue.

La situazione dell’impatto ambientale delle tecnologie e del loro utilizzo diventa sempre più seria poiché se dovesse proseguire l’attuale tasso di crescita del traffico digitale c’è il rischio che, nei prossimi anni, l’emissione dei gas serra dovuta alle tecnologie digitali vada a cancellare il 20% dei miglioramenti ambientali globali conseguiti faticosamente attraverso le politiche di decarbonizzazione definite nell’ambito degli accordi internazionali.

Certamente non è possibile fermare o rallentare lo sviluppo digitale per una serie di motivazioni, ma è possibile, direi indispensabile, procedere verso un uso più ecologico e sostenibile delle tecnologie. Quello che sta contribuendo maggiormente all’aumento del traffico dei dati nella rete al ritmo del 20% annuo è dovuto agli smartphone, tablet e televisioni digitali. Bisogna incominciare a ragionare sulla reale necessità di postare e diffondere nella Rete, spesso in una modalità davvero parossistica, video e foto non indispensabili e, il più delle volte inutili, principalmente attraverso i diversi social, come Facebook, Twitter, Instagram, Tic Toc, etc. . Si è arrivato ad un puro esibizionismo digitale dove molti si gratificano nel condividere la foto di cosa stanno mangiando, o un selfie, o un video di un incontro, e tanto altro. Gran parte dell’attuale Umanità dell’antropocene non comprende che postare miliardi di video e foto ha un costo ambientale che pagheranno le future generazioni. Siamo indotti ad essere sempre di più connessi, ad avere le notifiche che continuamente ci portano a vedere sul nostro smartphone se abbiamo avuto, a seguito del nostro post, l’approvazione che ci aspettavamo e le risposte che speravamo di avere. Abbiamo tanti servizi apparentemente gratuiti per il semplice fatto che la merce siamo noi, il nostro tempo, i nostri click e le nostre curiosità; di fatto possiamo tranquillamente affermare che il “nostro tempo è il loro guadagno”. Le grandi opportunità che le tecnologie offrono a noi tutti devono necessariamente condurci ad un loro uso sobrio e consapevole con l’impegno di lasciare sempre al centro del nostro agire umano la persona, della quale siamo certi della sua identità, i nostri rapporti non mediati dal virtuale, l’equilibro e l’ecologia della nostra mente.

 

 

PatchAI: Assistente sanitario empatico e Intelligenza Artificiale di Luigi A. Macrì

Abstract – Un giovane infermiere utilizzando l’Intelligenza Artificiale (I.A.), machine learning e apprendimento automatico, ha sviluppato il primo assistente virtuale empatico da usare con pazienti coinvolti in studi clinici e in contesti di medicina personalizzata.

Nei numeri precedenti, abbiamo parlato spesso di Intelligenza Artificiale sottolineando le grandi possibilità innovative e di sviluppo che essa sta evidenziando, ma anche gli interrogativi e le problematiche che stanno emergendo per aspetti relativi alla privacy ma anche alla manipolazione delle coscienze che è possibile ottenere con la gestione senza scrupoli dei dati raccolti, il più delle volte senza il nostro permesso o la nostra consapevolezza.

Mai come in questo momento, in questo terribile e straordinario anno pandemico che è appena finito, abbiamo imparato ad apprezzare il ruolo del personale sanitario, in particolare medici ed infermieri che hanno un ruolo centrale e determinante nel rapporto con il paziente e nel loro supporto durante il decorso della malattia.

Proprio dall’esperienza e dall’intuizione di un infermiere è nata una soluzione digitale che mette insieme efficienza ed empatia per realizzare un assistente virtuale. Il contesto sanitario nel quale si muove questa iniziativa non è quello dell’emergenza ma degli studi clinici, delle sperimentazioni o dispositivi sanitari. Afferma l’ex infermiere, specializzato in ricerca, Alessandro Monterosso, ora amministratore delegato della start-up PatchAI : “L’idea è nata quando lavoravo nei reparti di oncologia ed effettuavo studi di ricerca sponsorizzati che testavano l’efficacia di farmaci. Nella maggior parte dei casi, per la raccolta dei dati dei pazienti usavamo strumenti cartacei quando venivano per i controlli, mentre quando era a casa chiedevamo loro di compilare un diario. Se i pazienti avevano qualche dubbio o volevano informazioni e rassicurazioni, ci raggiungevano con una email o un messaggio su whatsapp, strumenti che non garantiscono fino in fondo la privacy e che non permettono di avere uno storico di quel singolo paziente.”[1].

Da questa riflessione Monterosso ha lavorato sul concetto di empatia, elemento centrale nell’assistenza ai pazienti, e sull’aspetto concreto del come si dovesse partire per realizzare un’azienda. Dopo aver lasciato il suo posto di infermiere a tempo indeterminato, si iscrive al Master in International Healthcare Management, Economics and Policy dell’Università Bocconi e si trasferisce da Padova, dove ora ha sede l’azienda, a Milano. In quel Master conosce i primi due soci, un medico indiano, K. Palanivel, ed un farmacologo serbo, F. Ivancic. A questi si è aggiunto un dirigente sanitario per sviluppare e concretizzare l’idea. In seguito, si sono presentati a diversi concorsi per aziende start-up; nel 2019 in sei mesi hanno vinto 12 competizioni nazionali ed internazionali. La start-up è stata incubata da Unicredit Start-Lab e poi, nella sezione Health, dall’Istituto Europeo di innovazione e tecnologia. L’assistente sanitario “virtuale ed empatico” è stato certificato come dispositivo medico di classe I dal Ministero della salute.

Questo è un esempio di come il genio e la creatività italiana abbia un potenziale enorme e può generare benessere e profitto.

Luigi A. Macrì

Direttore IctEd Magazine

[1] Le Scienze – Edizione italiana di Scientific American, Maggio 2020, pag.12;

INTELLIGENCE E FACT CHECKING: DUE VOLTI DELLA STESSA MEDAGLIA di Luigi A. Macrì

La capacità di analizzare la realtà e le informazioni è una delle competenze principali che ogni cittadino dovrebbe possedere. Comunemente, quando si parla di Intelligence si pensa subito ai Servizi Segreti e magari a traffici e ad azioni non sempre trasparenti.

Il prof. Mario Caligiuri[1], direttore del Master in Intelligence presso l’Università della Calabria, primo Master su questo tema in un ateneo italiano, ha sdoganato il termine chiarendo il concetto e collegandolo al significato di una disciplina che è essenziale per comprendere la realtà attraverso una corretta percezione ed analisi delle informazioni. Già nel 2017, all’apertura del Master in Intelligence Caligiuri affermava che “bisogna utilizzare l’intelligence per legittima difesa, poiché bisogna essere consapevoli che oggi viviamo nella società della disinformazione permanente e intenzionale. Il dibattito odierno sulle fake news, peraltro ricondotto nell’ambito delle polemiche politiche, non coglie affatto, secondo me, la dimensione e le distorsioni complessive del sistema mediatico.”[2] Sempre in quell’occasione il criminologo Francesco Bruno afferma che “la Rete ci sta portando verso un futuro indecifrabile rendendo controverso il concetto di normalità che rende ancora più delicato e complesso il lavoro dell’intelligence.”.

Nelle attività di comunicazione, il rapporto tra informazione e disinformazione è davvero problematico e complesso. Già alcuni anni fa la situazione era critica poiché da uno studio del 2017 condotto da Soroush Vosough del M.I.T. – Massachusetts Institute of Tecnology - le false notizie su Twitter si diffondono sei volte più velocemente delle notizie vere e hanno il 70% di possibilità in più di essere ritwittate. La ricerca è stata condotta su 126 tweet pubblicati da 3 milioni di persone e ritwittati oltre 4,5 milioni di volte. Questo studio, pubblicato sulla rivista Science, è il più ampio che sia mai stato fatto sulla diffusione delle notizie false on line. È stato possibile realizzarlo grazie alla disponibilità di Twitter che ha messo a disposizione il suo archivio storico permettendo ai ricercatore di indagare sulle false notizia twittate dal 2006 al 2017. Tra i vari aspetti che sono emersi c’è anche quello che le bufale più veloci riguardano la politica superando quelle su terrorismo, disastri naturali, finanza e scienza.

Nel 2018 la commissaria europea al digitale afferma che “le false informazioni si diffondono ad un ritmo inquietante e minacciano la reputazione dei media, il benessere delle nostre democrazie e i nostri valori democratici. Per questo dobbiamo elaborare meccanismi per identificare le fake news e limitarne la circolazione. Se non prendiamo misure a livello europeo, il rischio è grande che la situazione si avveleni”. La situazione ormai è peggiorata e l’informazione è così manipolata che possiamo affermare che siamo passati dalla società dell’informazione, a quella della disinformazione.[3]

La capacità di verificare le notizie è sempre stata una delle principali competenze nel lavoro giornalistico che deve accertare la veridicità degli avvenimenti citati e dei dati usati in un articolo. Ora questa competenza diventa sempre di più essenziale per ogni cittadino in quanto strumento per comprendere l’affidabilità delle continue notizie che ci arrivano. Molto chiaro e significativo è quanto afferma lo scrittore Yuval Norman Harari: “In passato, la censura operava bloccando il flusso di informazioni. Nel XXI secolo la censura opera inondando la gente di informazioni irrilevanti. Nei tempi antichi deteneva il potere chi aveva accesso alle informazioni. Oggi avere il potere significa sapere cosa ignorare”.

Molti siti che trattano le false notizie, chiamate anche “bufale”, ci aiutano a capire strani e improbabili messaggi che ogni giorno ci arrivano.

La Commissione europea ha comunque proposto un codice di condotta, sebbene non vincolante, contro le false notizie e la disinformazione on line; ha annunciato, inoltre, di sostenere una rete indipendente di verificatori di notizie (fact checkers) unitamente ad una serie di misure finalizzate ad incentivare un giornalismo di qualità e l’educazione ai media.

Questa iniziativa si è concretizzata anche con altre iniziative europee promosse dal Servizio Europeo per l’Azione Esterna (EEAS - European External Action Service), un servizio dell’Unione europea, con sede a Bruxelles, responsabile per gli affari esteri, creato dal Trattato di Lisbona e in funzione dal dicembre 2020. Il sito europeo dell’EEAS euvsdisinfo.com, accessibile anche in lingua italiana, offre informazioni, servizi di database studi e reports di qualità sul tema della disinformazione.

Vi sono comunque altre risorse on line come l'International Fact-Checking Network, un'unità del Poynter Institute dedicata a riunire i fact-checker in tutto il mondo. L'IFCN è stato lanciato nel settembre 2015 per sostenere una fiorente raccolta di iniziative di verifica dei fatti promuovendo le migliori pratiche e gli scambi in questo campo.

È un mondo che sta cambiando con una velocità impressionante e i pericoli che queste situazioni determinano non sono visibili. Abbiamo già parlato in precedenza delle manipolazione di Cambridge Analytica nelle ultime elezioni negli Stati Uniti e nella Brexit in Europa. C’è un serio rischio per la democrazia poiché bombardare i diversi social con campagne mirate e studiate da esperti di marketing sta diventando un’operazione molto diffusa anche in Italia, dove alcuni notissimi politici italiani sono stati di clienti di Steven K. Bannon, capo stratega della campagna elettorale di Donald Trump, che dopo la rottura con il presidente, ha aperto un ufficio anche a Roma.

Essere in grado di analizzare la realtà dell’informazione che ci sommerge, distinguere il vero dal falso, l’utile dall’inutile, non è un’operazione semplice, non è una competenza che si possa acquisire facilmente ma bisogna pur iniziare e porci il problema; altrimenti subiamo manipolazioni continue e l’uomo pensante e consapevole diventa minoranza e, soprattutto, ininfluente.

Per questi seri motivi, nella visione di una Scuola che andrebbe completamente rivista, in particolare nell’aspetto pedagogico e dei nuovi saperi che è necessario aggiornare, dobbiamo avere consapevolezza di quale sia oggi lo sviluppo della conoscenza e della realtà nel frenetico e, per molti versi, caotico, mondo che stiamo vivendo

 

[1] Professore di prima fascia presso l’Università della Calabria dove insegna Pedagogia della Comunicazione.

[2] https://www.cosenzapost.it/intelligence-caligiuri-bruno-inaugurano-le-lezioni-del-master-dellunical/

[3] Caligiuri M., Introduzione alla socetà della disinformazione – Per una pedagogia della comunicazione, Rubbettino Ed., Soveria Mannelli, 2018.

CAMBIAMENTO CLIMATICO E MENTALE: DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA di Luigi A. Macrì

L’evoluzione di questa rivista ci porta ad allargare sempre di più lo sguardo a quanto accade nel mondo globale delle tecnologie per i diversi aspetti del nostro vivere sociale, economico e culturale.

Il cambiamento climatico è un problema mondiale che, nello stravolgere il nostro vivere quotidiano con l’intensificarsi nel mondo di eventi metereologici estremi come cicloni, uragani, piogge e tempeste di forte intensità, mette a rischio, secondo una buona parte di studiosi, la stessa sopravvivenza dell’uomo su questo pianeta. Scienziati ed esperti delle Nazioni Unite, che costituiscono il Gruppo intergovernativo climatico (IPCC), che studiano il riscaldamento globale, ha di recente diffuso un nuovo rapporto sul clima che è il frutto dell’analisi di circa settemila ricerche scientifiche. Nelle sue conclusioni il rapporto, dedicato soprattutto al peggioramento delle condizioni degli oceani e delle calotte polari, afferma che il livello del mare continua ad aumentare, lo scioglimento dei ghiacci e il ritiro dei ghiacciai è in continuo aumento. Ormai sappiamo per certo che questa situazione è causata, principalmente, dalle attività umane e dalle loro emissioni che peggiorano l’effetto serra. Le tecnologie, in questo contesto, hanno avuto ed avranno un ruolo fondamentale e determinante. Da una parte lo sviluppo dell’industrializzazione nel mondo, in particolare nelle nazioni che fanno parte del cosiddetto BRIC ovvero Brasile, Russia, India e Cina, ha portato ad un alto livello di emissioni di CO2 nell’atmosfera, intensificando l’effetto serra ed i fenomeni atmosferici ad esso connesso; dall’altro la soluzione di questa situazione dovrà necessariamente passare attraverso una riduzione della percentuale di emissioni grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie “verdi”: energia rinnovabile e pulita come l’energia solare, eolica, geotermica, termodinamica, idroelettrica, nonché lo sviluppo dell’uso dell’idrogeno e delle biomasse.

Un altro aspetto di un cambiamento, altrettanto globale ma ancora poco percepito, è quello del cambiamento mentale che secondo studi scientifici, in particolare di neuroscienze, sta avvenendo per le future generazioni. Lo sviluppo delle tecnologie negli ultimi settanta anni, dai primi calcolatori elettronici degli anni cinquanta, al primo computer di tipo moderno degli anni settanta, fino ad arrivare alla diffusione dei moderni smartphone, ha visto il coinvolgimento graduale dell’uomo in ogni sua attività. L’uso pervasivo e continuo dello smartphone, ha scientificamente stabilito che, unitamente a fenomeni di dipendenza da Internet sempre in continuo aumento nel mondo, l’uso eccessivo di Internet può essere correlato ad alterazioni dell’integrità del cervello.

E’ il caso di rammentare che, già da diversi anni, per lo più in Cina, in Sud Corea, in Giappone e negli Stati Uniti, ma anche nelle città europee, vi sono diversi centri che curano pazienti affetti da I.D.A. (Internet Disorder Addiction). Abbiamo già evidenziato nel numero tre del Luglio 2018 di questa rivista alcune ricerche scientifiche effettuate in Cina e in Corea su aspetti neurobiologici della dipendenza da Internet. Nel primo studio "i risultati hanno reso evidente che i soggetti con dipendenza da Internet mostrano una ridotta diffusione delle molecole d’acqua nella sostanza bianca rispetto ai soggetti non dipendenti. Tutto ciò è indice di una non integrità delle fibre in diverse aree del cervello quali l’area orbito-frontale, la corteccia cingolata anteriore, le fibre commessurali del corpo calloso, la capsula interna ed esterna. Inoltre, il deficit d’integrità è stato più alto nei soggetti con una maggiore dipendenza da Internet."[1]

Questo aspetto, unitamente al cambiamento che sta avvenendo, in particolare nei cosiddetti nativi digitali, nei modi apprendere e di scrivere e nella necessità di gestire la conoscenza e le informazioni in modo del tutto diversi da quanto avveniva nel passato, ci porta ad affermare che è incominciato nell’uomo un vero e proprio Cambiamento Mentale[2] , come lo definisce nel suo libro la neuroscienziata Susan Greenfield. 

Comprendere questo cambiamento epocale impone una visione multidisciplinare, a 360 gradi, nel campo dei saperi. Questo numero presenta alcune novità riguardo alle sezioni in cui è suddivisa la rivista. Abbiamo ritenuto opportuno dedicare, con la sezione Scienze e Saperi, uno spazio specifico al mondo scientifico ed ai diversi ambiti dei saperi dove presentiamo, tra gli altri, un articolo su uno dei primi artisti che ha inteso utilizzare la sperimentazione tecnologica nel mondo dell’arte; nella stessa sezione, un articolo sul rapporto tra le tecnologie e il mondo dello sport, nel quale l’autore afferma che “la stessa tecnologia che può aiutare a vincere estremizzando la prestazione, può anche essere dannosa per la salute dell’atleta. Per limitare gli aspetti negativi è determinante una continua integrazione fra gli allenatori, i ricercatori, i tecnici ed i medici.”. Di seguito un contributo sul tema delle false notizie che mette in evidenza il fatto che l’utilizzo di questi metodi è vecchio quanto il mondo: da Platone a Goebbels, da Papa Gregorio VII a Voltaire con le sue “pie frodi”, da Ajume Wingo ad Aristotele, quando afferma che “la menzogna forse è connaturata alla natura dell’uomo stesso”.

Un’altra nuova sezione, ormai necessaria considerata l’importanza del tema più volte trattato, è quella delle Dipendenze dalla rete. L’articolo che inaugura questa sezione è riassuntivo dei principali aspetti che coinvolgono ormai ogni livello sociale e culturale; quelli che sono maggiormente a rischio sono i bambini e gli adolescenti che sono esposti, purtroppo sempre più spesso, sin dai primi mesi, allo smarthphone, uno strumento che usano oramai molte mamme al posto del classico campanellino di gomma o altri giocattoli innocui per distrarlo e farlo mangiare.

Altra sezione, che vuole contribuire ad organizzare i diversi articoli che ci giungono in redazione, è quella relativa alla Ricerca e Innovazione. L’aspetto della ricerca, in tutti i settori è certamente centrale per il nostro sviluppo futuro. In questo numero presentiamo articoli sulle onde gravitazionali, sull’uso che l’Agenzia delle Entrate farà dell’intelligenza artificiale e delle machine learning per scovare gli evasori, su cyberspazio e stolking, sull’intelligenza artificiale e il mondo dell’arte.

In questo numero, troviamo, infine, articoli sulla robotica educativa, sia a livello di istituti superiori che per scuole del primo ciclo, sul concetto di popolarità nel web e la ricerca smodata di like attraverso post continui, sul technostress ovvero il sovraccarico informativo come rischio di impresa, sulla sicurezza degli smartphone, ed altro.

Il lavoro della redazione e dei collaboratori, in crescendo per qualità ed interesse, l’apprezzamento dei lettori anche a livello nazionale, è stato possibile grazie al contributo altamente qualificato di tutti.

Nel concludere, voglio ricordare il professore Andrea Checchetti, docente di chimica, impegnato anche all’UNICAL di Cosenza, prematuramente e improvvisamente scomparso lo scorso luglio, all’età di 58 anni, e ringraziarlo, a nome mio e di tutta la redazione, per il contributo di grande qualità che ha dato a questa rivista e per la sua ricchezza umana, culturale e scientifica che ha sempre espresso.

Il nostro percorso editoriale è teso verso la realizzazione di un’informazione puntuale e utile, sulle tematiche relative alle tecnologie, finalizzata anche allo sviluppo sociale e culturale del territorio nel quale operiamo. Il tema della prevenzione dei rischi di dipendenza, è altrettanto centrale poiché si intende coinvolgere, a livello operativo, genitori, docenti e gli altri portatori di interesse. E’ un tema questo di grande valore sociale e culturale per la salvaguardia delle future generazioni. Senza il vostro contributo, il vostro supporto, sia pure di incoraggiamento e vicinanza, il nostro lavoro volontaristico sarà certamente più difficile e arduo.

Editoriale Anno II N.3 Ottobre 2019  www.ictedmagazine.com 

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[1] Loiacono Antonella – Aspetti neurobiologici della dipendenza da Internet - in www.ictedmagazine.com - rivista n° 3 luglio 2018, pg. 33

[2] Greenfield Susan, Mind change-Cambiamento mentale – Come le tecnologie stanno lasciando un’impronta sui nostri cervelli, Fioriti Editore, Roma, 2016.

TEMPO PER PENSARE: L’UOMO CHE SALVÒ IL MONDO di Luigi A. Macrì

Come abbiamo sempre evidenziato nei nostri articoli, i vantaggi che le tecnologie hanno offerto all’umanità sono tali e tanti che hanno cambiato il mondo, il nostro modo di vivere a anche di pensare. Non possiamo, comunque, negare che i pericoli, apportati da questi cambiamenti, siano altrettanto numerosi ed incombenti. Uno di questi è certamente l’uso delle tecnologie e dell’Intelligenza Artificiale legato alle armi ed alla loro automatizzazione. Molte nazioni sono in gara per sviluppare sistemi d’armi completamente autonomi che possono scegliere e colpire obiettivi prefissati (persone comprese) senza supervisione umana.

La storia recente ci ha dato alcune dimostrazioni del rischio dell’automatismo, ad esempio, nelle risposte ad attacchi missilistici, senza che ci sia un essere umano che possa alla fine vagliare quanto stia accadendo.

Nel 1983, in un centro russo di allerta nucleare precoce, il tenente colonnello Stanislav Petrov era di turno quando sul suo monitor comparve in lettere rosse la parola “LANCIO” che significava che un missile nucleare statunitense si avvicinava rapidamente. Petrov mantenne la calma ed i nervi saldi aspettando ulteriori sviluppi. Dopo un po’ risuonò un secondo allarme, poi un terzo e poi un quarto. Al quinto allarme la scritta che compariva sul monitor era passata da “LANCIO” a “ATTACCO MISSILISTICO”. L’URSS stava esaurendo il tempo a disposizione per reagire ovvero far partire i propri missili con le conseguenze catastrofiche che sarebbero seguite. In un’intervista alla BBC nel 2013 il colonnello Petrov, nello spiegare che in quella drammatica situazione si prese tempo per riflettere, disse: “Poi presi la mia decisione. Decisi che non mi sarei fidato del computer”. Registrò il segnale ricevuto come falso allarme, sebbene, al momento, non potesse esserne sicuro. In seguito emerse che i satelliti sovietici avevano scambiato alcuni riflessi del sole sulle nuvole per motori di missili balistici intercontinentali.

Questa storia rende evidente l’importanza ed il ruolo vitale del potere decisionale degli esseri umani quando si tratta di vite umane e di situazioni così gravi come lo scoppio di una guerra nucleare. Nella storia sopra indicata il Mondo ha avuto la fortuna di avere una persona con i nervi saldi che, non affrettandosi a premere il pulsante per far partire la ritorsione missilistica, si è dato, rischiando, tempo per pensare; ha avuto ragione, altrimenti ci sarebbero stati numerose vittime ed una catastrofe mondiale per un errore tecnologico di rilevamento. È grave e preoccupante quando leggiamo che è necessario l’automatismo poiché i conflitti si svolgono con una rapidità tale e un ritmo talmente veloce che non possono essere gli umani a prendere le decisioni.

Fino ad ora vi sono stati, per lo più, droni con le coordinate degli obiettivi già programmati al momento del lancio. I sistemi d’armi del tutto automatici AWS (Autonomous weapons system) sembra che siano in funzione in alcuni teatri di guerra. Alcune nazioni hanno già dichiarato di voler utilizzare queste armi che una volta lanciati, seguono, selezionano ed attaccano gli obiettivi, spesso con alto potere distruttivo, senza alcuna supervisione umana.

La corsa alle armi robotiche è partita.

Al fine di cercare di ridurre e prevenire i rischi che, nel prossimo futuro, una situazione del genere potrebbe portare, nel 2009, Noel Sharkey[1] insieme ad altri tre professori universitari hanno fondato un gruppo di lavoro internazionale per il controllo delle armi robotiche che poi si è raccordato con altre organizzazioni non governative (ONG) per formare la Campagna per fermare i Robot Killers (Campaign to Stop Killer Robots). Questa coalizione, composta da “130 ONG di 60 paesi, ha l’obiettivo di spingere le Nazioni Unite a negoziare un trattato giuridicamente vincolante che proibisca lo sviluppo, la sperimentazione e la produzione di armi che selezionano gli obiettivi e li attaccano con violenza senza un controllo umano significativo.”[2]

Per le nazioni ed i militari, gli interessi e le attrattive, in quanto a risultati, che le armi autonome offrono sono davvero molteplici: vanno dai caccia senza pilota, come X-47B della U.S. Navy, in grado di decollare ed atterrare dalle portaerei anche con vento forte ed in grado d fare rifornimento in volo, alle navi militari transoceaniche senza equipaggio, come la Sea Hunter americana, dagli avanzatissimi carri armati T-14 Armata della Russia, ai moduli predisposti dall’azienda di armi Kalashnikov per il combattimento automatizzato che possono essere montati su sistemi di armi già esistenti in grado di captare, scegliere ed attaccare gli obiettivi, per non parlare di quanto stanno sperimentando la Russia e la Cina sulle armi dotate di altissime capacità e velocità di elaborazione grazie all’intelligenza artificiale e al machine learning. Il proliferare di innovazioni di armi sempre più robotizzati con un controllo umano sempre più scarso deve condurre gli Stati alla consapevolezza che “un trattato internazionale vincolante che proibisca lo sviluppo degli AWS e garantisca un controllo umano significativo sui sistemi d’armi diventa sempre più urgente. A determinare se un attacco parta o meno dovrebbe essere un esperto umano, consapevole della situazione e del contesto e provvisto di tempo sufficiente per deliberare su natura, importanza e legittimità degli obiettivi, su necessità e opportunità dell’attacco e sui probabili esiti.”[3].

Sarebbe, ovviamente, molto più semplice se si bandissero tutte le armi e si andasse verso un rapporto tra le Nazioni basato sulla solidarietà e la cooperazione tra i popoli. Questo non sarà possibile fino a quando l’avidità del potere economico, l’interesse delle aziende che producono le armi e la continua ricerca di profitti sempre più alti non lasci il posto alla consapevolezza che bisogna agire con urgenza poiché l’Umanità, in tal modo, sta conducendo se stessa alla rovina.

Riprendiamoci il giusto “tempo per pensare”, mettendo l’Uomo con la sua capacità di pensiero, i suoi sentimenti, la sua umanità al centro dello sviluppo delle tecnologie.

Il concetto di Humane Technology emerge sempre con grande vigore nelle nostre riflessioni; noi lavoriamo affinché si realizzi “un mondo in cui la tecnologia supporti il nostro benessere condiviso, il senso, la democrazia e la capacità di affrontare complesse sfide globali.”.

Luigi A. Macrì

Direttore Editoriale

www.ictedmagazine.com

post scriptum:

Sono più di due anni che distribuiamo gratuitamente questa rivista. Riteniamo che i temi che trattiamo e la consapevolezza degli stessi siano di massima importanza per comprendere e migliorare il nostro presente ma anche, al di fuori della retorica, per il bene ed il progresso dell'umanità. Facciamo parte del progetto internazionale Humane Tech che lavora per una tecnologia umana. Vi chiediamo di esserci vicino con la vostra sensibilità e professionalità. Mandateci una vostra riflessione a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. . Insieme possiamo fare certamente di più e meglio. Grazie!

 

 

[1] Noel Sharkey è professore emerito di intelligenza artificiale e robotica all’Università di Sheffield (U.K.), fondatore e presidente del l’International Committee for Robot Arms Control;

[2] N. Sharkey, La Guerra Automatizzata, in le Scienze. Rivista italiana di Scientific American, n.622 – 1 Giugno 2020, pag. 57;

[3] Ivi, pag. 59;

 

CRISI E INTELLIGENZA CONNETTIVA di Luigi A. Macrì

“La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E' nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato.” Albert Einstein

Ogni momento di crisi, come affermava il grande Einstein, è un’opportunità di crescita e di miglioramento. Leggendo eventi e riflessioni di grandi personaggi del passato possiamo imparare ad utilizzare questi momenti di crisi nel modo migliorare traendone linfa vitale.

Derrick De Kerckhove,[1] considerato l’erede intellettuale di Marshall McLuhan, colui che nel 1968 aveva prefigurato il “villaggio globale”, era in forte crisi all’inizio degli anni settanta, nella Coach House, la sede del Centre for Culture Tecnology all’Università di Toronto diretto da McLuhan. Derrick era in crisi ed aveva deciso di lasciare l’Università perché la tesi che doveva sviluppare per il suo dottorato di ricerca non lo interessava più di tanto. Ma si rendeva conto che non completandola avrebbe perso il lavoro all’università. McLuhan, dopo avergli chiesto quale fosse l’argomento della tesi, che era “La decadenza dell’arte tragica nella letteratura francese del XVIII secolo”, gli disse che non procedeva perché pensava che la tragedia fosse “una forma d’arte”. Davanti alla perplessità di De Kerckhove, McLuhan spiegò che la tragedia “è un “quid”, una “quest for identity”, una strategia inventata dai greci per superare la crisi di identità dovuta all’introduzione dell’alfabeto che aveva distrutto la cultura tradizionale”. Questa indicazione permise a De Kerckhove di vedere la sua tesi da una prospettiva diversa che gli permise, dopo pochi mesi, di conseguire il suo dottorato. Nella seduta di presentazione, Mcluhan che era presente alla discussione affermò che “la ricerca è un’attività magnifica quando si sa che cosa cercare”.

Superato il momento di crisi che abbiamo sopra indicato, De Kerckhove ha saputo proiettarsi, in modo critico ma propositivo, in una ricerca tesa a comprendere i cambiamenti che le tecnologie hanno apportato. Egli fu tra i primi ad interessarsi di neuroscienze in rapporto ai media ed alle tecnologie; cercava sempre le ragioni delle cose, mentre McLuhan riusciva, a suo dire, ad arrivare a conclusione giuste anche partendo da premesse del tutto errate.

Secondo De Kerckhove, da sempre attento ai media, alla comunicazione ed ai condizionamenti che la tecnologia ha sul linguaggio, “il computer è una psico-tecnologia, ossia un’estensione del nostro pensiero che si esterna attraverso il linguaggio, estensione della nostra mente”. Con il termine psico-tecnologia De Kerckhove indica quelle tecnologie associate alla lingua in quanto estensione del pensiero dal quale scaturisce la possibilità di leggere. La televisione è una tecnologia di tipo globale e collettiva; il computer invece è una tecnologia con la quale possiamo avere il controllo sullo schermo, è una nostra estensione sensoriale. Tutto ciò ha provocato lo sviluppo e la trasformazione delle nostre capacità intellettive.

Sulla scia delle intelligenze multiple di H. Gardner, con De Kerkhove giungiamo all’intelligenza connettiva che riporta comunque al centro l’intelligenza individuale:

“Spesso si dice che il nuovo modo di acquisire conoscenze, piluccando nozioni qua e là in Rete per poi riassemblarle, implica una perdita di creatività e originalità. Non è vero: l’importante è come si fa questo lavoro e, in ogni caso, è ormai impossibile separare le intelligenze le une dalle altre, occorre farle lavorare insieme senza rinunciare alla singolarità delle intelligenze individuali”.[2]

Sono questi temi che vanno ripresi alla luce degli ulteriori sviluppi, incominciando dalle problematiche emerse dallo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, dell’utilizzo dei cosiddetti Big Data fino alle ricerche di neuroscienze sull’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

In questo grave momento di crisi è necessario, come si diceva prima, sapere cosa cercare, individuare le opportunità di cambiamento, che si intravedono e sono auspicabili, nei rapporti, nel lavoro, nella visione del mondo e di se stessi. Il mondo non sarà lo stesso se avremmo imparato la lezione che la Natura ci ha fornito; sarà migliore se ognuno riuscirà a mettere da parte il proprio egoismo. Questo vale per le singole persone, i cittadini, e in particolare per coloro che ci governano, sia a livello mondiale, europeo e nazionale.

Abbiamo trascorso un’insolita ricorrenza della Pasqua, termine che proviene dal greco Pascha, a sua volta dall’aramaico pasah, che significa “passare oltre” e quindi “passaggio”. L’auspicio di noi tutti e che questo sia davvero un “passaggio” verso un Mondo che possa essere capace di rispettare maggiormente la Natura che è parte integrante, in unità, di noi stessi.

E’ nostro intento, come gruppo di lavoro, seguire questi processi con la consapevolezza della necessità di rivedere dalle fondamenta i parametri relativi ai processi di istruzione, apprendimento e formativi: ne va davvero, senza voler cadere nella retorica, il futuro delle nuove generazioni e dell’Umanità.

Luigi A. Macrì

Direttore responsabile

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[1] Sociologo, accademico e direttore scientifico di Media Duemila, ha diretto dal 1983 al 2008 il McLuhan Program in Culture & Technology dell'Università di Toronto. È autore di La pelle della cultura e dell'intelligenza connessa (The Skin of Culture and Connected Intelligence) e Professore Universitario nel Dipartimento di lingua francese all'Università di Toronto. Già docente presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, dove è stato titolare degli insegnamenti di Sociologia della cultura digitale e di Marketing e nuovi media. È supervisor di ricerca presso il PhD Planetary Collegium T-Node (wikipedia)

[2] C. Formenti, Corriere della Sera, 25 aprile 2005, pag. 21;

 

RIFERIMENTI

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