Sull’onda degli attuali cambiamenti demografici e dei rapidi sviluppi tecnologici, cresce l’esigenza di figure specializzate che facciano impresa e che necessitano di una formazione altamente tecnologica e professionale. Proprio come quella offerta dagli ITS Academy - Istituti Tecnologici Superiori.
Gli ITS Academy sono accademie post diploma che promuovono percorsi biennali o triennali altamente professionalizzanti e che rappresentano la sinergia tra la competenza tecnologica e la pratica aziendale, offrendo un accesso privilegiato al mondo del lavoro nelle eccellenze di ciascun territorio. Iscriversi ad un ITS Academy significa quindi connettersi al mondo del lavoro, tramite uno studio teorico-pratico, incentrato sul placement degli studenti che, al termine del percorso, ottengono la qualifica di “Tecnico Superiore” tramite il “Diploma di Specializzazione per le Tecnologie Applicate” e il “Diploma di Specializzazione Superiore per le Tecnologie Applicate,” rispettivamente corrispondenti al V (percorsi biennali) e VI livello (percorsi triennali) del Quadro Europeo delle Qualifiche-EQF.
Il mondo dell’informazione è pervaso da notizie che colorano spesso negativamente le nostre giornate, questa che sto per presentarvi sicuramente vi stupirà, come ha stupito me piacevolmente. In Basilicata sulle rive del lago artificiale della diga di San Giuliano ad 8 Km da Matera, sono stati rinvenuti, casualmente, i resti fossili di un antico esemplare di balena alla quale è stato dato il nome di “Giuliana degli Abissi”.
Il singolare ritrovamento risale all’agosto del 2006, ad opera di Vincenzo Ventricelli, che durante una passeggiata scoprì i resti di questa enorme balena, in parte sepolti nell’argilla, sulla riva della diga di San Giuliano, che ha dato il nome all’esemplare. Iniziarono da quel giorno le varie segnalazioni ai funzionari della soprintendenza, che erano già al corrente della sua presenza. Dopo svariati interventi sono state istituite le campagne di scavo per il recupero del fossile, coordinate dagli esperti dell’Università di Pisa. Oggi i reperti sono esposti al museo Museo Nazionale “Domenico Ridola” di Matera, dove è possibile esplorare il suggestivo allestimento multimediale con tecnologia 2D e 3D di “Giuliana degli Abissi”. All’interno sono state girate scene molto suggestive della serie televisiva:”Imma Tataranni-Sostituto procuratore”, ambientata a Matera.
Ma chi è Giuliana? Il più grande cetaceo del Pleistocene mai ritrovato, con i suoi 26 metri di lunghezza ed un peso stimato di circa 150 tonnellate che era libera di nuotare in un antico mare pleistocenico, più di un milione di anni fa. Dopo un lungo periodo Giuliana è stata estratta completamente dal letto dell’argilla che l’aveva protetta e custodita.
Al museo Ridola l’esposizione racconta la storia di questo fossile di cetaceo che risulta essere uno dei più grandi fossili di balena mai rinvenuti, forse il più grande esemplare che abbia mai solcato le acque dell’antico mare. Gli studi compiuti, che permettono di datare l’animale tra 1,5 e 1,25 milioni anni fa, risalente al Pleistocene inferiore-medio, hanno messo in evidenza forti affinità con la balenottera azzurra (Balaenoptera musculus), la specie di cetaceo vivente. Il percorso espositivo dedicato alla balena Giuliana si compone di diverse sale: dopo la prima, dedicata alla scoperta e alle fasi del difficile recupero, ci si ritrova nell’ambiente interamente dedicato al cetaceo, che accompagna i visitatori a compiere un viaggio immersivo davvero emozionante.
Partendo da questa ambientazione possiamo avviare la nostra indagine in ambiente STEM, acronimo inglese STEM riferito a diverse discipline – Science, Technology, Engineering e Mathematics, ovvero Scienze, Tecnologia, Ingegneria, Matematica – e indica l’insieme delle materie scientifiche-tecnologiche-ingegneristiche, ritenute necessarie allo sviluppo di conoscenze e competenze scientifico-tecnologiche, richieste prevalentemente dal mondo economico e lavorativo. Per costruire un percorso di apprendimento da far vivere ai ragazzi a scuola, possiamo utilizzare la metodologia ispirata all’Inquiry Based Learning, sfruttando la presenza dei nuovi ambienti di apprendimento innovativi corredati da strumenti digitali, software, app e kit didattici per la sperimentazione, per tentare di ricostruire l'habitat naturale del cetaceo. È possibile incuriosire i ragazzi e creare direttamente un nuovo percorso di apprendimento accattivante, basato su domande e strategie di problem solving.
La Balena Giuliana ci viene incontro, stimola la nostra fantasia, ci invita all’esplorazione e in un attimo docente e alunno si incontrano e decidono di progettare e camminare insieme in questo percorso che è di insegnamento e apprendimento, fatto di condivisioni, scoperte che guidano tutti nel mondo magico delle STEM. Le metodologie STEM e il corretto approccio sono di fondamentale importanza oggi, in quanto sono la base del disegno futuro del mondo della conoscenza, che indirizza e supporta l'emisfero delle scoperte scientifiche e tecnologiche, invoglia i ragazzi allo studio e soprattutto lavora per il superamento del divario di genere, aprendo tanti scenari ed orizzonti per le Donne STEM con collegamenti tra esperienze del passato, del presente e del futuro.
Se potessimo ripercorrere le tappe del ritrovamento potremmo favorire negli studenti la curiosità e l'apprendimento interattivo. La tecnologia ci viene incontro ma direi che ci siamo proprio. la balena Giuliana ci conduce verso la metodologia dell’Inquiry Based Learning (IBL), basata sull’indagine, fondamento della pedagogia dell’apprendimento esperienziale di John Dewey, sostenuto grazie alle teorie costruttiviste degli anni ’60, periodo nel quale, in opposizione al metodo tradizionale di lezione, si propone il modello dell’apprendimento basato sulla scoperta. In tempi più recenti tale metodologia viene largamente promosso grazie al Rapporto Rocard del 2007, pubblicato dalla Commissione Europea, la quale pone l’IBL o l’IBSE (Inquiry Based Science Education) come approccio per coinvolgere gli studenti in un apprendimento attivo, partecipativo, interattivo e applicativo nell’ambito delle scienze. L’Inquiry è una metodologia didattica che si basa sull’investigazione e stimola gli studentie a formulare domande, mettere in atto azioni utili a risolvere problemi e a comprendere in maniera più profonda lo studio dei fenomeni. Gli studenti sono al centro del processo e vengono orientati all’attività di indagine, guidati dal docente, che è facilitatore, attraverso diverse fasi preparatorie fino alla concettualizzazione, con lo sviluppo di domande, la creazione di ipotesi e successive verifiche. Sono presenti i tre momenti salienti dell’investigazione:
esplorazione
sperimentazione
interpretazione dei dati emersi dall’indagine.
Nella progettazione dell’attività di Inquiry Based Learning, partendo ovviamente dai preliminari obiettivi formativi, il docente potrà decidere se proporre un percorso formativo basato sulla consequenzialità della proposta delle indagini, oppure selezionare uno o più livelli sui quali basare la propria attività formativa. E’ importante predisporre un setting dell’aula per lo svolgimento delle attività finalizzate a creare gruppi di lavoro, con tecniche di cooperative learning, privilegiando attività da svolgere sia a distanza che in presenza, utilizzando i canali comunicativi tra e nei gruppi di alunni, valorizzando un uso consapevole e produttivo degli strumenti digitali, per favorire la co-costruzione delle esperienze di apprendimento da parte degli studenti, suddivise in step e fasi di lavoro.
L’intera attività di Inquiry Based Learning (IBL)Teaching & Learning Centre - UniGe.it può essere progettata sulla base del 5 E del Model proposto da Bybee & Landes nel 1990 il quale, attraverso le sue cinque E, delinea un learning cycle approach perfettamente applicabile alla progettazione delle attività:
Le cinque E stanno per engagement, exploration, explanation, elaboration ed evaluation e rispettivamente racchiudono questi significati:
ENGAGEMENT: introduzione alla metodologia e prima osservazione di un fenomeno o di un’esperienza, un problema dato volto ad essere indagato, nel nostro caso possiamo partire dalla domanda chi era Giuliana?
EXPLORATION: fase sperimentale di manipolazione e applicazione delle conoscenze (ricerca bibliografica,internet,ricercare dati e informazioni, verifica delle fonti, prima esperienza concreta di apprendimento, esplorazione di domande e ipotesi)-Organizzare una visita al Museo e un’escursione sul luogo di ritrovamento.
EXPLANATION: mappatura e discussione dei primi dati emersi, con l’introduzione di un framework, scheda teorica di riferimento che permetta di contestualizzare ciò che è apparso dalle ricerche preliminari (leggi, teorie ecc.). Cos’è un fossile, come avviene il processo e la conservazione.e’ possibile realizzare un esperimento in classe sul processo di fossilizzazione.
ELABORATION: elaborazione delle conoscenze appena acquisite e successiva sperimentazione attiva delle stesse, elaborare un prodotto, utilizzando metodologie immersive, la progettazione di ambienti 2D e 3D, e realtà aumentata con la creazione di presentazioni accattivanti.
EVALUATION: predisposizione di momenti di riflessione e di feedback formativi, occasioni di autovalutazione e predisposizione di momenti/attività di valutazione formativa e/o certificativa, di peer review.
Dalle attività sopra descritte è possibile preparare una pianificazione per gruppi e una presentazione delle attività svolte, con scambi e fasi di presentazione plenarie. È proprio questo il lavoro dello scienziato, il metodo scientifico sperimentale che da Galileo Galilei è giunto intatto sino a noi.
Il docente aiuta i ragazzi ad organizzare le attività, indicando modalità e tempi, invita ciascun studente ad elaborare alcune prime ipotesi di risposta alle domande emerse. Attiva l'interesse e la motivazione degli studenti iniziando con l’individuare una tematica, proponendola in chiave di problem solving. Favorisce l’interazione tra gli studenti tra loro per far emergere una o più domande investigabili sul tema proposto. Si formulano le prime ipotesi. Il docente divide la classe in gruppi, affidando già compiti specifici agli studenti. Nel piccolo gruppo si confrontano le singole ipotesi per arrivare a formulare un’unica proposta investigativa. Ciascun gruppo procede all'avvio della fase investigativa e apre il lavoro di ricerca. Il docente assegna i ruoli e monitora facilitando il lavoro di investigazione. Dopo aver effettuato attività di riflessione gli studenti nei gruppi di lavoro passano alle fasi di sperimentazione e documentazione, con la creazione di un prodotto finale, avvalendosi dell’utilizzo di vari strumenti digitali. I gruppi dovranno ben documentare l’azione del processo che porta a risultati e conclusioni. I prodotti saranno presentati e condivisi tra i gruppi delineando la prossima indagine.
Esempio concreto di raccolta delle informazioni:
1.0-informazioni di base, il racconto
Tutto parte dall’osservazione diretta dei resti paleontologici, dialogano insieme i canali visivi e percettivi, lo facciamo durante la visita al museo o esplorando l’allestimento multimediale che racconta la storia di questo fossile di cetaceo che, con i suoi 26 metri di lunghezza, risulta essere uno dei più grandi fossili di balena mai rinvenuti, forse il più grande esemplare che abbia mai solcato le acque del Mar Mediterraneo. Gli studi compiuti, che permettono di datare l’animale tra 1,5 e 1,25 milioni anni fa, ovvero nel Pleistocene inferiore, hanno messo in evidenza forti affinità con la balenottera azzurra (Balaenoptera musculus), la specie di cetaceo oggi vivente che raggiunge le dimensioni maggiori.
2.0-lezione al museo-tra reperti e tecnologie digitali nel museo interattivo
<<.....Si può visitare al museo Ridola di Matera dove è stato allestito il percorso espositivo dedicato alla Balena Giuliana che si compone di diverse sale: dopo la prima, dedicata alla scoperta e alle fasi del difficile recupero, ci si ritrova nell’ambiente interamente dedicato alla projection mapping che accompagnerà i visitatori in un viaggio immersivo ed emozionante. Ideata dal visual artist Silvio Giordano e realizzata da ETT SpA, azienda del Gruppo SCAI. Qui, si fondono le tecniche più avanzate in un’opera dal grande impatto visivo: animazione 2D e 3D, compositing e motion graphic. Seguono le sale espositive in cui sono mostrati alcuni resti del fossile già restaurati e interessanti reperti riconducibili alla fauna e alle piante acquatiche del paleoambiente in cui la balena è stata ritrovata. Attraverso un monitor il visitatore potrà seguire i lavori in corso nel laboratorio di restauro del fossile, allestito nell'Ex Palazzina Fio del Museo Ridola; completa questo racconto il fumetto “La Regina degli abissi” (Osanna Edizioni) appositamente realizzato dall’illustratore e fumettista Giulio Giordano>>
fig.1 il restauro
fig.2 il luogo del ritrovamento-Sponda Lago di Giuliano
fig.3 esemplare di balena azzurra
4.0-Citare le fonti - Creare un repository delle risorse
<<Le attività svolte sono state complesse e hanno richiesto il coinvolgimento di più attori, da Annamaria Mauro, direttrice del Museo nazionale di Matera, insieme a Francesco Canestrini, soprintendente della Sabap, la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio della Basilicata, assieme a Giorgio Sobrà, direttore dell’Istituto centrale per il restauro di Matera, Giovanni Bianucci, paleontologo del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, e la stessa amministrazione comunale. Importante fornire una visione d’insieme ai nostri alunni, che potranno avere l’idea concreta che dietro tutto questo lavoro ci sono, persone e specialisti.>>
È possibile creare una banca dati e una repository delle risorse sarà importante per avere a disposizione tutti i materiali e i riferimenti scientifici utili alla realizzazione dell’esperienza con la suddivisione in sezioni: Testi-Video-Audio-Immagini ecc.
5.0-Approfondimenti scientifici specialistici
Le scoperte scientifiche hanno consentito all’umanità di percorrere le varie tappe dell’evoluzione e se ci soffermiamo ad osservare un paesaggio, esso è il frutto di azioni esogene, antiche che non sono evidenti ai nostri occhi. Ma il racconto della storia dei paesaggi naturali e della comparsa della vita sulla terra è segreto? Chi può rivelarlo, ma è ovvio il rinvenimento dei fossili, sono gli unici testimoni della vita del passato, siamo sulla buona strada. Già ma chi è il paleontologo? E’un geologo che dopo tanti anni di studio è diventato uno specialista, egli con tanto lavoro fisico, porta alla luce reperti, che saranno datati in laboratorio e potranno raccontare la storia geologica del luogo, dell’ambiente in cui vivevano le specie ritrovate, l’età, il clima. Parliamo di piante e animali, ma questa branca delle scienze geologiche è talmente vasta da essere suddivisa in paleontologia dei vertebrati e degli invertebrati. Vi assicuro da qui parte l’infinito, si apre un mondo di conoscenze affascinanti, che ci spiegano come in un libro la storia della vita sulla terra. Attenzione parliamo di tempo geologico. Se volessimo allargare le conoscenze per poter capire i processi di formazione ed evoluzione dobbiamo vestire i panni del geologo che ci racconterebbe che:“descrizione dell'area ed inquadramento geomorfologico:...Il Lago di San Giuliano e la collina di Timmari sono localizzati nella porzione centro orientale della Fossa Bradanica, un’ampia depressione tettonica allungata da NO a SE, che dal punto di vista geologico-strutturale, si sviluppa dopo gli eventi tettonici del Pliocene medio e si estende tra l’Avampaese Apulo ad Est e l’Appennino meridionale ad Ovest (Fig. 4). Essa è colmata da sedimenti argillosi e sabbioso-conglomeratici plio quaternari formatisi in acque da poco a moderatamente profonde, nei quali si possono distinguere numerose formazioni che costituiscono una successione continua regressiva (Valduga, 1973). Il basamento è prevalentemente calcareo–dolomitico (Cretaceo), riferibile alla “Formazione del Calcare di Altamura”, affiorante ad oriente di Matera a partire dalla gravina omonima e in corrispondenza delle depressioni vallive prodotte dal Torrente Gravina e dal fiume Bradano. Sui calcari del Cretaceo giacciono in trasgressione i depositi marini del ciclo sedimentario plio-pleistocenico il cui termine basale è costituito dalle “Calcareniti di Gravina” roccia calcarea granulare porosa e fossilifera, di età Calabriana affiorante prevalentemente nelle parti più elevate delle gravine (Boezi et al., 1971).” Dalla descrizione è possibile tradurre il racconto con immagini, animazioni, e la creazione di un glossario dei termini specialistici.
Gli studi STEM promuovono, dunque, la metodologia dell’IBL, che è molto apprezzata dagli studenti ed è fondamentale per l’acquisizione delle competenze di problem solving. Gli studenti imparano ad analizzare criticamente le situazioni, a sviluppare ipotesi e a cercare soluzioni basate su dati e prove scientifiche. Tutto questo serve ai nostri ragazzi certo, avranno vissuto un’esperienza nuova, scoperto un nuovo metodo di studio, di ricerca, acquisito competenze relazionali, di progettazione, di creazione ed elaborazione di un prodotto, che è in grado di viaggiare per catturare la curiosità e l’interesse di tutti. Possiamo dire che Giuliana degli abissi emersa dal suo lontanissimo passato ha contribuito ad arricchire e costruire il futuro delle ragazze e dei ragazzi del terzo millennio.
L'articolo che segue è stato già pubblicato nel febbraio 2019. Questa è la revisione di gennaio 2024 (N.d.D.)
Abstract
“Cos’è un campo elettromagnetico? Qual’è l’effetto del campo elettromagnetico emesso da un dispositivo mobile o da un’antenna sul corpo umano? Qual’è il livello di pericolosità attualmente stabilito dallo IARC (International Agency for Research on Cancer)? Quali sono i parametri da considerare prima dell’acquisto di un dispositivo mobile? Quali contromisure possiamo adottare per limitare i rischi nell’uso quotidiano dei nostri device?”
La connessione alla rete Internet nel mondo è in continua crescita. In particolare assistiamo all’uso sempre più intensivo di dispositivi mobili. Ad esempio le indagini statistiche condotte da “We Are Social” assieme a “Hootsuite” [1] a livello mondiale hanno raccolto, tra gli altri, i dati riportati in figura.
Come si può notare gli utenti che fanno uso di un dispositivo mobile per il collegamento sono più di 5 miliardi in tutto il mondo. Sempre secondo questa indagine la crescita mondiale relativa all’uso dei dispositivi mobili è del 4%, pari a più di 200 milioni di dispositivi all’anno. In particolare in Italia, a Gennaio 2018, circa 49 milioni di utenti usano un dispositivo mobile per collegarsi ad Internet, ovvero circa l’83% della popolazione attiva.
Ecco la situazione nel 2018 (quando era stato scritto questo articolo).
Com’è noto il collegamento di un dispositivo mobile, ovvero uno smartphone o altro device facente uso di una scheda telefonica o tecnologia Wi-Fi, alla rete Internet, si basa sui campi elettromagnetici. Questo è vero anche per le normali telefonate, anzi a maggior ragione in quanto, di solito, usiamo il telefonino poggiandolo in prossimità dell’orecchio.
Pertanto si impone una riflessione sulla eventuale pericolosità dei campi elettromagnetici nella telefonia mobile.
La questione andrebbe affrontata sotto due diversi punti di vista:
esposizione ai campi e.m. dovuti alle antenne disposte nei diversi punti degli insediamenti urbani
esposizione al campo e.m. del dispositivo mobile che stiamo usando
Gli effetti e le relative analisi sono infatti diversi nei due casi. Nel caso delle antenne il nostro corpo, normalmente, è esposto interamente alla radiazione ma a distanze ragguardevoli. Nel caso degli smartphone invece si è a diretto contatto con il dispositivo.
Procediamo quindi con ordine cercando di comprendere, senza troppi tecnicismi:
cosa è un campo elettromagnetico e come sia possibile che questo realizzi un collegamento a distanza
quali sono i parametri utilizzati per l’analisi del rischio dovuto all’esposizione dei campi e.m. (che i costruttori di telefonini devono obbligatoriamente riportare)
quali sono i risultati degli studi fino ad ora condotti sugli effetti dei campi e.m. sul corpo umano
quali accorgimenti possiamo eventualmente prendere per limitare gli effetti dei campi e.m.
Cos’è un campo elettromagnetico
Si tratta di due onde, una dovuta al campo elettrico e l’altra al campo magnetico, che, se la frequenza di emissione è sufficientemente elevata, hanno la straordinaria proprietà di viaggiare contemporaneamente nello spazio. L’altra caratteristica fondamentale è che tale campo può contenere informazioni, le quali vengono immesse attraverso una tecnica detta modulazione e rilevate attraverso l’azione opposta di demodulazione. Quindi di fatto un campo elettromagnetico trasmette informazioni.
E fin qui tutto molto bello. Il problema è che le onde radio, ovviamente, interagiscono con la materia circostante e, nel caso in cui la materia in questione sia il nostro corpo, sorge il legittimo dubbio che questo possa venire in qualche modo danneggiato.
Diciamo subito che i campi elettromagnetici cui siamo esposti, non sono di sola origine artificiale come possiamo notare dal seguente schema [2].
Nella figura è anche evidenziata la tipica classificazione in base alla frequenza di emissione ovvero secondo la lunghezza d’onda della radiazione. Per coloro che fossero più avvezzi alla fisica o alla matematica ricordiamo la nota relazione
dove c=velocità della luce, f=frequenza, 入=lunghezza d’onda.
Osservando lo schema possiamo subito fare la seguente (in parte tranquillizzante) osservazione: le onde radio usate nella telefonia mobile sono NON ionizzanti, cioè non provocano una trasformazione delle cellule con cui vengono a contatto ma “solo” la loro oscillazione con conseguente riscaldamento dei tessuti. Questo in effetti è il principio di funzionamento di un forno a microonde: cuociamo i cibi alterandone poco le caratteristiche. Resta ovviamente da chiarire se questo effetto sia nocivo per l’uomo nel caso dell’uso dello smartphone. Studi recenti, inoltre, sembrano mettere in dubbio la natura non ionizzante.
Parametri per lo studio degli effetti dei campi e.m. sul corpo umano
Consideriamo prima il caso dell’esposizione al campo e.m. prodotto da un’antenna. SI usa in questo caso la cosidetta approssimazione di “campo lontano” secondo la quale il campo elettrico ed il campo magnetico sono assimilabili ad onde piane le cui intensità sono legate dalla relazione E/H = 377.
Normalmente viene misurato il solo campo elettrico [V/m] dato che gli effetti del campo magnetico si possono ricavare usando la formula precedente. Per quanto riguarda l’uso dello smartphone, dato che non vale più l’approssimazione di campo lontano e la relazione tra campo elettrico e magnetico è più complessa della semplice proporzionalità, si usa invece una grandezza che dipende dalla rapidità con cui il tessuto investito dalla radiazione si scalda, il SAR (Specific Absorption Rate) [W/kg]:
=variazione di temperatura, =intervallo di tempo in cui avviene la variazione di temperatura, c=calore specifico del tessuto in esame.
A riguardo facciamo due osservazioni. La prima concerne il metodo di misura del SAR. Evidentemente sarebbe impossibile determinare tale grandezza applicando direttamente la definizione in quanto la misura risulterebbe dannosa per il tessuto in questione. Si usa in realtà un’altra definizione correlata direttamente con la potenza emessa dal dispositivo misurabile senza pericolo per il corpo umano.
La seconda è che, come già accennato, i costruttori devono comunicare il SAR del dispositivo mobile in modo che l’utente ne sia a conoscenza.
La Comunità Europea ha adottato una normativa armonizzata che fa proprio il limite SAR di 2,0 W/Kg (2W/kg per testa e corpo, 4 W/kg per gli arti). Il produttore, sotto la sua responsabilità, dichiara che il prodotto è conforme alla normativa comunitaria. Senza tale dichiarazione non è possibile ottenere la marcatura CE. Un dispositivo con marcatura CE garantisce il rispetto delle norme comunitarie in materia di emissioni elettromagnetiche.
Di notevole interesse è la classificazione degli smartphone in base al SAR e la loro comparazione con il prezzo di vendita [8]. L'Ufficio federale tedesco per la protezione dalle radiazioni, Bundesamt für Strahlenschutz, ha effettuato una raccolta dettagliata di dati provenienti da una vasta gamma di telefoni, quantificato i livelli di radiazioni emessi e reso pubblici tali dati.
I 20 smartphone che emettono più radiazioni
Vediamo ora, sempre dalla stessa fonte
I 20 smartphone con valori SAR più bassi
E’ da tenere presente che i dati sulle vendite sono stime e possono variare a seconda della fonte. Il prezzo reale di un particolare modello può differire in base al rivenditore e al paese. Inoltre, è importante considerare che i prezzi dei modelli possono fluttuare nel corso del tempo.
In sintesi, sembra che i valori SAR non influiscano in modo significativo sulle vendite o sui prezzi degli smartphone. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che tale parametro non viene tenuto in debita considerazione al momento dell’acquisto.
Risultati degli studi
Studi per evidenziare eventuali effetti non termici (cioè ionizzanti e quindi potenzialmente più pericolosi) del campo e.m. in zone poste in prossimità di antenne sono stati condotti fin dagli anni ottanta, inizialmente considerando impianti di tipo radiotelevisivo, poi anche per la telefonia mobile. Famoso in Italia lo studio sulle antenne di Radio Vaticana. Si discusse molto dei risultati di tale studio in quanto, sebbene evidenziassero “un eccesso di rischio di leucemia in prossimità della stazione radio e un decremento del rischio a distanza crescente dagli impianti”, come per altri studi analoghi, “i risultati delle analisi epidemiologiche non forniscono però evidenze conclusive circa una possibile associazione causale tra esposizione a RF e aumento del rischio di leucemie”. [3]
In particolare il campione statistico non era sufficientemente significativo per numero di casi esaminati e per le metodologie usate nell’analisi che non tenevano conto di diversi fattori significativi dal punto di vista statistico e tecnico.
Anche studi più recenti sulle celle radio base per telefonia mobile non hanno evidenziato con sufficiente determinazione la corrispondenza tra esposizione a campi e.m. (nei limiti consentiti dalla legge) ed insorgenza di patologie.[4]
Pertanto:
“Sulla base dei risultati della ricerca scientifica ad oggi disponibili (2011 ndr), l’Associazione Internazionale per la Ricerca sul Cancro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ovvero IARC (International Association for Reasearch on Cancer), ha classificato i campi elettromagnetici a radiofrequenza quali “possibili cancerogeni” (classe IIB). Tale classificazione si riferisce, in particolare, a limitate evidenze di cancerogenicità dell’esposizione a telefoni mobili. Le evidenze si considerano limitate in quanto, anche se rendono credibile un’associazione causale tra esposizione e induzione di tumori, non permettono di escludere la presenza di fattori casuali che inficino l’attendibilità di tale associazione”. [2]
Si riporta qui, per completezza, la classificazione dello IARC:
Group 1: Carcinogenic to humans.
Group 2A: Probably carcinogenic to humans.
Group 2B: Possibly carcinogenic to humans.
Group 3: Not classifiable as to carcinogenicity in humans.
Studi più recenti tuttavia hanno innalzato la soglia di attenzione sull’importante problema relativo ai pericoli derivanti dall’esposizione al campo e.m. con particolare riferimento alla telefonia mobile. [5] Uno studio dell’Istituto Ramazzini di Bologna, che risale a Gennaio 2017 ha evidenziato la correlazione tra le onde radio emesse da ripetitori (campo lontano) per telefonia mobile, simulando l’esposizione per valori tipici stimati in Italia, e l’insorgenza di tumori anche entro i limiti finora ritenuti sicuri. Tale studio è stato condotto con valori molto più bassi rispetto ad un altro analogo condotto negli Stati Uniti (NTP, 2005) nel quale si volevano stabilire gli effetti dell’uso del cellulare per le conversazioni (campo vicino).
“Il nostro studio conferma e rafforza i risultati del National Toxicologic Program americano … sulla base dei risultati comuni, riteniamo che l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) debba rivedere la classificazione delle radiofrequenze, finora ritenute possibili cancerogeni, per definirle probabili cancerogeni”.
Recentemente, quindi, gli esperti, sulla scorta degli studi precedenti e grazie ad un numero maggiore e più significativo di casi esaminati nonché al perfezionarsi delle tecniche sperimentali, ritengono più probabile una relazione tra patologie ed esposizione ai campi e.m. di ripetitori e dispositivi mobili.
Le contromisure
Poiché la pericolosità del campo e.m. è legata alla distanza dalla fonte di radiazione ed alla durata dell’esposizione il buon senso raccomanda di tenere il dispositivo mobile il più possibile distante dal corpo (usando ad esempio un auricolare durante la conversazione) e per tempi brevi. Inoltre è fortemente consigliabile evitare di tenere il cellulare, o altro dispositivo mobile, accesso in prossimità del corpo (in particolare la testa) durante le ore di riposo. Essendo inoltre dimostrato che la potenza erogata da uno smartphone è minore se c’è pieno campo, meglio evitare situazioni nelle quali la ricezione è scarsa. Si tenga anche presente che la potenza emessa diminuisce sensibilmente con la tecnologia usata dal nostro dispositivo (nei primi ETACS era notevolmente più elevata che negli attuali 4G).
Da evitare poi l’uso dello smartphone da parte di bambini in quanto più sensibili agli effetti del campo e.m. Infine è buona norma informarsi sul livello SAR dei propri dispositivi mobili consultando le caratteristiche sul sito del costruttore. Esistono numerosi articoli sempre aggiornati in proposito. (si veda ad esempio [6] [8]).
Per quanto riguarda i ripetitori c’è da dire che la normativa vigente prevede, per la loro collocazione e potenza, valori di campo molto inferiori a quelli ritenuti pericolosi.
Circa quest’ultimo punto e le modalità di uso dei vari dispositivi atte a limitare i rischi dovuti all’esposizione ai campi e.m.si veda la già citata relazione [2] e l’ottimo articolo [7] dove si danno utili indicazioni anche riguardo a dispositivi elettrici diversi dagli smartphone.
Conclusioni
Attualmente la pericolosità dei campi e.m. emessi dalle antenne è ancora classificata come possibile e non probabile, pertanto non sembra opportuno rinunciare alle potenzialità offerte dai nostri dispositivi mobili. Come accade in generale nella vita, non eccedere nell’utilizzo ed adottare le opportune precauzioni sembra essere, attualmente, il migliore compromesso tra uso della tecnologia e sicurezza.
*Ingegnere elettronico - Docente Esperto di telecomunicazioni
[2] ARPA Piemonte - Dipartimento Radiazioni - Sara Adda, Laura Anglesio, Alberto Benedetto, Enrica Caputo, Mauro Mantovan, Massimiliano Polesel - coord. Giovanni D’Amore (2014). ESPOSIZIONE UMANA A RADIOFREQUENZE. STUDIO SULL’IMPATTO DELLA TELEFONIA CELLULARE E SULLE MODALITÀ DI UTILIZZO DEL TELEFONINO PER LA RIDUZIONE DEI RISCHI
[3] Michelozzi P et al (2002). Adult and Childhood Leukemia near a High-Power Radio Station in Rome, Italy. Am J Epidemiol
[4] Roosli M., Frei P., Mohler E. and Hug K. (2010) Sistematic Review on the health exposure to radiofrequency electromagnetic fields from mobile phone base stations. Bull. World Health Organ.
[5] Ruggiero Corciella - Corriere della sera (2017). Antenne radio per i cellulari: nei topi causano tumori delle cellule nervose