Robotica educativa

Robotica e Intelligenza Artificiale: la sfida verso il futuro delle “Digital Humanities” di Eleonora Converti*

Abstract: Le discipline umanistiche ,in particolare l’archeologia, sono sempre più orientate verso metodologie di analisi, studio e ricerca basate sull’utilizza dei big data, del machine learning e della robotica, riducendo tempi e costi, valorizzando e rendendo più accessibile il patrimonio culturale anche in chiave di sostenibilità e permettendo una conoscenza più approfondita delle diverse tematiche culturali.

*docente di Sistemi Automatici e Animatore Digitale presso l’ITIS “E.Fermi” di Castrovillari

L’Informatica umanistica, o Digital Humanities rappresenta quel campo di studi delle scienze umane che integra procedure computazionali e digitali con sapere umanistico, utilizzando la tecnologia e digitale non soltanto come strumenti operativi, ma come una nuova struttura del pensiero critico che superi la classica separazione fra i due saperi: umanistico e scientifico. Non si tratta di un semplice utilizzo del digitale per raccogliere e catalogare dati, bensì di rendere operativo in esso tutte le fasi della ricerca,dal reperimento delle fonti ,alla loro analisi e al loro inserimento critico nella rete del sapere. Eppure le Digital Humanities hanno un’origine abbastanza lontana risalente al 1946, quando padre Roberto Busa (Vicenza,1913, Gallarate,2011) ebbe l’idea di digitalizzare su supporto informatico, allora schede perforate, l’indice linguistico del corpus di Tommaso d’Aquino, un opera di proporzioni monumentali che fu realizzata in collaborazione con IBM. Da allora di strada ne è stata percorsa tanta e le Digital Humanities hanno abbracciato ogni campo del sapere umanistico, dalla linguistica alla filologia,dall’arte alla musicologia, dalla storia all’archeologia, cogliendo sfide ed opportunità sempre più nuove ed entusiasmanti dell’evoluzione del digitale e delle tecnologie come la robotica e l’intelligenza artificiale.

ROV (Remotely Operated Vehicle) è un robot per l’indagine e la conservazione subacquea di reperti , realizzato in collaborazione tra l’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ed alcune aziende di ricerca sul campo( WASS,Ageotec, 3DResearch e Syremont). Il robot subacqueo è dotato di un braccio idraulico per la pulizia dei muri perimetrali sommersi che presenta su di un manipolatore diversi tipi di terminazioni:una spazzola,una pinza,una punta trapano. Il robot è,inoltre, dotato di una telecamera ottico-acustica per la ricostruzione 3D in tempo reale e di un’interfaccia grafica per gestire e monitorare da remoto le rotazioni e gli allungamenti delle sue giunzioni.

A Pompei, per la prima volta, sarà utilizzata una tecnologia all’avanguardia che consente di ricostruire gli affreschi del soffitto della Casa dei Pittori al Lavoro nell’Insula dei Casti Amanti ,con l’ausilio di bracci robotici che, mediante sofisticati sensori,sono in grado di scansionare i frammenti, riconoscerli tramite un sistema di digitalizzazione 3D e sistemarli nella loro giusta collocazione evitandone il minimo danneggiamento. Ciò si è reso possibile grazie al progetto europeo“RePAIR”(Reconstruction the past:Artificial Intelligence and Robotics meet Cultural Heritage), coordinato dall’Università ‘Ca Foscari che vede al lavoro la Ben Gurion University di Israele, l’Istituto Italiano di Tecnologia, l’università di Bonn in Germania e il Ministero della Cultura. Il progetto si pone l’obiettivo di risolvere il problema annoso della ricostruzione e il riconoscimento degli innumerevoli frammenti di anfore, affreschi, mosaici che giacciono per lungo tempo nei depositi archeologici ,che richiedono lunghissimi tempi di lavoro da parte degli archeologi e attendono di essere restituiti all’attenzione del pubblico in tutto il loro originario splendore. Un’utopia realizzata grazie al connubio tra archeologia e Intelligenza Artificiale è quella del progetto ArcAIDE ( Archeological Automatic Interpretation and Documentation of Ceramics), finanziato dall’Unione Europea e coordinato dalla professoressa Maria Letizia Gualandi del Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Pisa. Il progetto consiste nella realizzazione di un sistema di riconoscimento automatico dei frammenti ceramici utilizzando l’Intelligenza Artificiale. E’ sufficiente scattare con un cellulare una foto del coccio da identificare e inviarla tramite un’app al sistema che, mediante una rete neurale addestrata , confronta forme e decorazioni con quelle archiviate nel suo data base interno e nel giro di pochi secondi formula cinque possibili interpretazioni identificative, fornendo per ciascuna di esse un valore numerico che rappresenta l’affidabilità della risposta. Spetta all’archeologo con la sua competenza decidere quale sia l’interpretazione migliore. Al contempo verranno memorizzate ed archiviate le nuove informazioni utili per le future ricerche. Tecnicamente vengono implementati due diversi algoritmi di riconoscimento: il primo dedicato al riconoscimento delle forme del frammento;il secondo al riconoscimento sulla base di generi. Si tratta esattamente dello stesso lavoro che fanno gli studenti di archeologia quando, per riconoscere e ricostruire la storia dei reperti, guardano e passano in rassegna migliaia di fotografie di frammenti alla ricerca delle corrispondenze con le immagini conservate nei cataloghi e negli archivi delle biblioteche e dei musei di tutto il mondo: una bibliografia estesa e non omogenea che difficilmente si può reperire quando si lavora sul campo o nei magazzini. L’Intelligenza Artificiale riduce di oltre l’80% il lavoro che gli archeologi solitamente spendono nella classificazione dei materiali di scavo. Ma perché tanti materiali di ceramica? E perché è importante studiarli e conservarli? L’argilla è una materia prima a basso costo e di facile lavorazione. Qualunque comunità,dal neolitico in poi, l’ha usata nella vita quotidiana per contenere e trasportare derrate alimentari. Si rompe, ma non si deteriora nel tempo. Una volta rotta non può più essere riutilizzabile, al contrario dei metalli che possono essere fusi e riutilizzati. Ecco perché le ceramiche sono una straordinaria finestra spalancata sulla vita quotidiana delle civiltà del passato con le loro informazioni preziose sulla datazione degli edifici, le sepolture, i flussi commerciali. Risparmiare tempo, oltre che denaro, per il riconoscimento e la datazione di tali reperti grazie all’aiuto dell’IA, è utile per la salvaguardia dell’immenso patrimonio archeologico dell’umanità. Ciò avviene anche quando gli archeologi sono chiamati a pronunciarsi in tempi rapidi durante i lavori per la costruzione di una metropolitana, di un a linea ferroviaria o di una qualsiasi opera pubblica o privata. Un analogo obiettivo persegue Il progetto Cultural Landascapes scanner coordinato dalla dottoressa Arianna Travaglia, direttrice del Centre for Cultural Heritage Tecnology dell’IIT con sede all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Esso si pone ben oltre i tradizionali sistemi di telerilevamento LIDAR (Light Detection and Ranging) di cui gli archeologi si servono per rinvenire siti archeologici sepolti nel primo sottosuolo o nascosti da fitte foreste e vegetazioni. L’idea consiste nella progettazione di una piattaforma denominata Copernicus per la raccolta e l’archiviazione di immagini satellitari scattate dalle Sentinel-2 , i satelliti che coprono la superficie terrestre nel giro di 5 – 6 giorni. Utilizzando questa mole di immagini, il progetto ricerca potenziali siti archeologici utilizzando le tecniche di machine learning. E’ un’operazione di vero e proprio addestramento al riconoscimento della presenza di un sito archeologico proprio come gli archeologi sono in grado di fare con la loro esperienza. La macchina ,supportata dall’uomo,dovrà imparare gradualmente a svolgere questa attività. Una volta addestrata, la macchina –dice la dottoressa Travaglia- sarà in grado di vedere meglio degli archeologi, perché può manipolare immagini registrate nell’infrarosso che loro non possono vedere ad occhio nudo e anche perché elimina una buona parte della soggettività dell’essere umano. Con questa tecnica è possibile anche fare archeologia preventiva, ossia individuare siti archeologici prima che vengano coperti durante i lavori di costruzione di strade e parcheggi ( informazioni utili per chi si occupa di pianificazione territoriale) e di individuare i breve tempo siti clandestini. Sono queste soltanto alcune delle numerose esperienze che vanno efficacemente nella direzione del superamento della tradizionale contrapposizione tra cultura umanistica e cultura scientifica. L’archeologia è tra le discipline umanistiche che tra le prime ha adottato questo nuovo paradigma. Risale a cinquant’anni fa la più famosa conferenza di applicazione informatica all’archeologia. Da quel tempo è sempre più diventato importante per i giovani archeologi integrare la loro preparazione umanistica con competenze informatiche perché ,come dice la dottoressa Travaglia, laureata in storia a Venezia, specializzata in archeologia a Trieste con un dottorato in geomatica alla facoltà di ingegneria di Venezia , “è necessaria la presenza di una figura “ibrida”in grado di padroneggiare i due linguaggi : le scienze umanistiche e le scienze dure.” Nascere” archeologa è però fondamentale perché spesso l’errore è quello di volere applicare le discipline scientifiche alle scienze umanistiche senza comprenderne però le reali esigenze.”

PROBLEM SOLVING, PENSIERO COMPUTAZIONALE E ROBOTICA: COMPETENZE CHIAVE PER IL LAVORO DEL FUTURO di Eleonora Converti*

Abstract - Pensiero computazionale, problem solving e robotica sono termini sempre più presenti nel dibattito scolastico già da alcuni anni, perché l’obiettivo della scuola è quello di fornire ai giovani strumenti validi per affrontare positivamente l’incertezza e la mutevolezza degli scenari sociali e professionali presenti e futuri.

docente di Sistemi Automatici e Animatore Digitale presso l’ITIS “E.Fermi” di Castrovillari 

problem solving“Se dai un pesce ad un affamato lo sfami per un giorno, se gli insegni a pescare lo sfami per tutta la vita”. Da questo proverbio cinese trae ispirazione il principio base della teoria del Problem Solving, la metodologia didattica che, attraverso un ragionamento strutturato, guida verso la risoluzione di situazioni e problemi complessi mediante soluzioni inaspettate, nuove e creative.

La matematica e l’informatica sono le discipline che più facilmente si prestano all’applicazione di tale metodologia nella misura in cui si propongano problemi risolvibili non con la meccanica e ripetitiva applicazione di formule univoche, ma con la ricerca di soluzioni nuove e possibili. Spesso per una comprensione completa ed approfondita di eventi e processi complessi è richiesto un ‘approccio unitario del sapere e, dunque, il problem solving è un procedimento utilizzabile non soltanto per le materie scientifiche ma anche per quelle umanistiche.

È questo lo spirito che anima le competizioni di informatica e pensiero computazionale, denominate Olimpiadi di Problem Solving, promosse dal Ministero dell’Istruzione dal 2015 e rivolte agli studenti del primo e secondo ciclo delle scuole italiane. Oltre la tipologia di gare individuali, assai coinvolgente è quella a squadre che facilita la collaborazione, il confronto ed il lavoro di gruppo. Tra gli obiettivi fondamentali vi è stimolare la crescita delle competenze di problem solving e sottolineare l’importanza del pensiero computazionale come strategia vincente per affrontare i problemi, come metodo per ottenere la soluzione e come linguaggio universale per comunicare con gli altri. Le prove da affrontare consistono nella soluzione di esercizi che contengono:

  • regole e deduzioni: ossia, risolvibili con un insieme di regole da applicare in sequenza opportuna per dedurre un certo elemento incognito a partire da certi dati;
  • fatti e conclusioni: ossia, entità correlate da fatti, ciascuna con valori discreti che richiedono un ragionamento per arrivare a delle conclusioni;
  • grafi: ossia, insieme di oggetti, detti nodi, collegati da un insieme di segmenti, detti archi;
  • pianificazione: attraverso l’utilizzo di grafi, diagrammi e tabelle per trovare la dipendenza logica tra una serie di attività e la loro giusta successione temporale;
  • algoritmi di crittazione: con la sostituzione di ogni simbolo del messaggio in chiaro con quello dato da una tabella di conversione che trasforma ogni simbolo in un altro;
  • movimenti di un robot: da attivare con una sequenza su una tabella con celle numerate;
  • elementi di pseudolinguaggio: soluzioni di procedure eseguite seguendo passo passo delle istruzioni;
  • lettura di un testo in italiano: con risposte a domande di comprensione;
  • lettura di un problema in lingua inglese: comprensione del testo e ricerca delle soluzione.

Altrettanto interessante e coinvolgente è l’iniziativa avviata da oltre sei anni dal Ministero dell’Istruzione in collaborazione con il CINI (Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica), denominata Programma il futuro per formare gli studenti attraverso l’uso di strumenti semplici e accessibili ai concetti base dell’Informatica e dell’educazione all’uso responsabile della tecnologia informatica. Il tutto è partito da un’esperienza avviata con successo negli USA nel 2013 e fortemente voluta e incoraggiata dall’allora Presidente Obama che invitava gli studenti americani a non acquistare videogiochi o scaricare app, ma a farli e disegnarli con le proprie mani. Il motto è: “non subire la tecnologia ma conoscerla e dominarla”. E non è solo una questione formativa quella di avvicinare i più piccoli in maniera consapevole ai dispositivi che scandiranno la loro vita di adolescenti ed adulti. Nel futuro prossimo 9 lavori su 10 richiederanno competenze digitali. Quasi la metà dei posti di lavoro sarà interamente svolta dalle macchine, milioni di posti andranno persi, ma ne cresceranno di nuovi altamente qualificati che richiederanno competenze articolate e complesse. Sarà importante un approccio creativo che permetta di analizzare un problema da diversi punti di vista cogliendone una giusta visione d’insieme ma al tempo stesso riconoscendone le diverse parti e le giuste relazioni fra esse. Ecco perché sarà sempre più importante possedere le competenze digitali insieme a quelle letterarie, linguistiche e umanistiche. Perché anche i più piccoli dovrebbero studiare l’informatica? Non certo perché tutti un domani lavoreranno in quell’ambito, ma perché il ragionamento procedurale, il pensiero computazionale, l’abitudine al problem solving, rappresentano, come dice Enrico Nardelli (responsabile del CINI), quel “ sedimento concettuale” che resta quando gli aspetti tecnici sono stati dimenticati e che sarà utile e prezioso per affrontare le nuove sfide del futuro.

Pensiero computazionale e problem solving sono, inoltre, capacità che si possono facilmente acquisire e rinforzare con la robotica educativa, l’ambiente di apprendimento di ispirazione costruttivista che consiste nel predisporre situazioni in cui gli studenti possono realizzare le proprie scoperte e l’insegnante condivide con gli studenti ciò che si apprende durante l’esperienza. Robot, rover ed automatismi vari sono così il risultato di una didattica del pensiero unita a quella del fare, in modo che i giovani possano essere sempre più protagonisti del loro futuro attraverso la capacità di padroneggiare gli strumenti e le tecnologie senza esserne soltanto dei semplici fruitori passivi. La robotica può definirsi una “scienza di sintesi” in cui sapere scientifico e sapere umanistico si fondono in modo unico. La robotica educativa, dunque, può rappresentare un ambiente di apprendimento per tutte le discipline, per una formazione completa e valida per le aspettative dei lavori del futuro.

Ma in un futuro prossimo pervaso dai robot e dall’intelligenza artificiale quale sarà il ruolo umano?

Forse sarebbe utile uscire dalla dicotomia delle interpretazioni sulla distruzione dei posti di lavoro e la creazione di nuovi da parte dell’automazione. Secondo David Autor occorre superare tanto la tesi pessimistica per la quale le nuove tecnologie aumentano la disoccupazione quanto quella ottimistica secondo cui i posti di lavoro saranno di più di quelli distrutti. Ciò che si ignora, infatti, è l’importanza della cosiddetta “conoscenza tacita”, ossia quella che deriva dall’esperienza. Infatti, non saranno mai sostituiti interamente ed efficacemente dalle macchine e dal software sia i lavori che richiedono conoscenze complesse e elevate abilità intellettive, sia quelli che richiedono adattamento, manualità e creatività. Certo la sfida è già da adesso ben ardua se si pensa a quanto le macchine si stiano avvicinando alla “conoscenza tacita” con gli studi sul “deep learning” e su come apprendere dagli esempi, accumulando conoscenza dall’esperienza.

La soluzione forse consiste nell’essere preparati in tanti e ben formati nell’affrontare in maniera sistemica la complessità dei problemi e le trasformazioni del mondo del lavoro. Tali trasformazioni richiedono interventi decisi e compatti da parte non soltanto degli addetti ai lavori ma anche di coloro che, in ambito politico e sociale, dovranno adoperarsi per abbattere le possibili conseguenze negative di una società ipertecnologica (il divario di genere, le diseguaglianze sociali, l’alienazione del controllo dei ritmi di lavoro attraverso un algoritmo), contribuendo al miglioramento della qualità della vita di tutti e di un benessere diffuso.

 

Eleonora Converti, docente di Sistemi Automatici e Animatore Digitale presso l’ITIS “E.Fermi” di Castrovillari

Chirurgia robotica: Da Vinci® XI HD - ultima frontiera mini-invasiva

Abstract - Un approccio, tecnologicamente avanzato, che consente di praticare un intervento chirurgico, manovrando a distanza un robot, che riproduce il gesto chirurgico con altissimi livelli di accuratezza.

 

L’avvento della robotica e dell’intelligenza artificiale in sala operatoria, ha determinato, specie nell’ultimo decennio, una vera e propria rivoluzione della chirurgia tradizionale, consentendo di potenziare le tecniche laparoscopiche mininvasive, con un particolare tipo di pratica chirurgica, che rappresenta l’ultima frontiera della chirurgia di precisione: la chirurgia robotica o Robotic Assisted Surgery.

Si tratta di un approccio tecnologicamente avanzato, che permette all'operatore di praticare un intervento chirurgico, manovrando a distanza un robot, capace di riprodurre e miniaturizzare i movimenti della mano umana all’interno delle cavità corporee, con innumerevoli benefici pre, intra, e post-operatori, sia per il paziente che dal punto di vista clinico.

Attualmente l’unica tecnologia disponibile per accedere ad una reale chirurgia robotica è rappresentata dal sistema robotico Da Vinci, nome volto a celebrare lo scienziato italiano, i cui studi sull’anatomia effettuati nel 1400 possono essere considerati alla base della progettazione del primo robot conosciuto della Storia.

La  prima versione del Robot Da Vinci, come sistema robotico per la chirurgia, è stata lanciata sul mercato nel 1999 dalla Intuitive Surgical Inc., azienda leader mondiale nella tecnologia della chirurgia robotica mininvasiva, con approvazione da parte della FDA nell’anno successivo per la chirurgia generale e più tardi anche per la chirurgia toracica, cardiaca, vascolare, urologica, ginecologica e otorinolaringoiatrica. Nell’arco di 15 anni la Intuitive Surgical Inc. ha ulteriormente potenziato la tecnologia del Da Vinci, fino ad arrivare a un modello evoluto di quarta generazione nel 2014: il  Da Vinci® XI HD.

 

Da Vinci® XI HD: com’è fatto?

 

Il Da Vinci® XI HD costituisce la piattaforma più evoluta per la chirurgia robotica mininvasiva, in grado di offrire una visione tridimensionale immersiva del campo operatorio potenziando fino a 10 volte la normale visione dell’occhio umano, oltre a favorire una maggiore facilità di accesso alle anatomie più complesse, una precisione superiore e una diminuzione del tempo di degenza, degli effetti collaterali e del rischio clinico. Il robot non è autonomo nell’esecuzione delle operazioni, ma è sempre guidato da un chirurgo, che fisicamente presiede una workstation lontano dal campo operatorio, dotata di monitor e comandi, dalla quale muove i bracci del robot, collegati agli strumenti endoscopici, che vengono introdotti nelle cavità corporee attraverso piccole incisioni.

Il sistema chirurgico Da Vinci® XI HD è costituito da tre componenti principali:

 

  • Console chirurgica: costituisce il centro di controllo, posizionato lontano dal campo sterile, attraverso cui il chirurgo opera per mezzo di due manipolatori, simili a joystick, e di pedali che guidano la strumentazione, osservando il campo operatorio tramite il monitor dell'endoscopio 3D.

 

  • Carrello paziente: costituisce l’unità operativa del sistema da Vinci e si compone di quattro bracci mobili e interscambiabili, supportati da un sistema di fibre ottiche. Sui bracci dei robot sono installati gli strumenti Endowrist, dotati di un polso in grado di compiere una rotazione di quasi 360°, nonché progettati con sette gradi di movimento, raggio di gran lunga superiore rispetto a quello del polso umano.

 

  • Carrello visione: contiene l'unità centrale di elaborazione dell’immagine, oltre ad essere sede delle principali fonti di energia per il controllo della emostasi.

 

 Applicazioni chirurgiche e vantaggi

 

Benché la chirurgia robotica trovi impiego in diversi ambiti di applicazione chirurgica, la branca che più di tutte attualmente beneficia di tale pratica innovativa è l’urologia, specie quella oncologica. Grazie alla visione tridimensionale ad alta definizione e alla possibilità di utilizzare strumenti miniaturizzati con un’ampia gamma di movimenti, è possibile eseguire operazioni molto delicate con estrema precisione, tutelando le fibre nervose che controllano la continenza e l’erezione. In tale ambito, una delle procedure più eseguite con il robot da Vinci è la prostatectomia radicale, che prevede la rimozione totale di prostata, vescicole seminali e linfonodi loco-regionali in pazienti affetti da cancro alla prostata.

Per quanto riguarda più in generale i vantaggi della chirurgia robotica, essi sono significativi sia per il paziente, grazie alle piccole incisioni e alla riduzione del traumatismo tissutale, con conseguente minor sanguinamento, riduzione del dolore post-operatorio e dei tempi di recupero delle normali attività, sia dal punto di vista clinico, per l’aumento della precisione delle prestazioni, che per la riduzione del rischio. Per il chirurgo, inoltre, è vantaggiosa la posizione più comoda, rispetto a quella assunta di solito durante l’operazione chirurgica, con una notevole riduzione della tensione muscolare, aspetto fondamentale, soprattutto durante interventi molto lunghi, che consente di mantenere un’attenzione maggiore durante tutte le fasi della procedura.

 

Chirurgia robotica in Italia

 

Ad oggi in Italia risultano installate ben oltre 100 piattaforme robotiche Da Vinci, con la presenza di almeno una postazione in ciascuna regione e maggiore prevalenza nel Centro-Nord, numero che ha consentito al nostro Paese di attestarsi come leader europeo nell’utilizzo della chirurgia robotica. Sul podio europeo, al fianco del nostro Paese, vi è anche la Francia, seguita da Germania e Gran Bretagna. Mentre nel mondo, a precederla,  vi sono soltanto gli Stati Uniti e il Giappone. Per quanto concerne la frequenza con cui si ricorre alla chirurgia robotica, osservando l’andamento dei casi di utilizzo negli ultimi anni, notiamo una notevole crescita, basti pensare che dal 2013, anno in cui si erano registrati circa 10.000 interventi, il numero si è poi raddoppiato nel 2018, continuando a crescere con costanza fino ad oggi. Le applicazioni in ambito urologico costituiscono circa il 70 % dei casi registrati; a seguire, con percentuali più basse, troviamo la chirurgia generale e toracica, la ginecologia e l’otorinolaringoiatria.

In Italia la tecnologia Da Vinci è distribuita da Ab medica s.p.a., azienda italiana  leader nella produzione e nella distribuzione di tecnologie medicali avanzate, nonché di sistemi di chirurgia robotica.

 

Fonti e approfondimenti:

        https://www.abmedica.it

  • PubMed Central®

        https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6193435/

 

 

 Cristiana Rizzuto

Ingegnere Biomedico di Presidio presso Ospedale Maggiore di Bologna

DEEPFAKE, UNA NARRAZIONE MISTIFICATA DELLA REALTA' di Eleonora Converti

Deepfake, una narrazione mistificata della realtà

di Eleonora Converti[*]

Abstract - Cosa sono le deepfakes? Come si realizzano? Possono definirsi il “lato oscuro” delle fakenews? Uno sguardo attento al fenomeno dei video manipolati per creare scene iperrealistiche.

Un anno fa una popolarissima trasmissione di Canale 5, Striscia la Notizia, trasmetteva un fuori onda che mostrava Matteo Renzi criticare in maniera “colorita” alcuni ex colleghi di partito e altri membri del governo Conte. Si trattava di una deepfake realizzata sovrapponendo al corpo di un imitatore il volto di Matteo Renzi e facendo sembrare che fosse davvero lui. Era il settembre del 2019 e solo allora in Italia il dibattito su questa tipologia di fake news diveniva virale, facendo scoprire che già da tempo in tutto il mondo “accadevano” eventi analoghi. Video artificiali manipolati ed alterati per creare delle scene iperrealistiche indistinguibili dalla realtà. Così Putin dichiarava guerra alla Cina, Nancy Pelosi ubriaca pronunciava un discorso in pubblico, Scarlet Johansson era involontaria protagonista di film porno, per non parlare degli innumerevoli falsi con Nicolas Cage e Tom Cruise.

L’EVOLUZIONE DELLE IA: DAI PRIMI ROBOTS ALLA MECCANICA QUANTISTICA di Katia Canonico

ABSTRACT:

Quali effetti avrà l’evoluzione dell’automazione in futuro? Si creeranno nuovi posti di lavoro o verremo soppiantati dai robots? Quale impatto ha avuto l’interpretazione di Copenaghen dopo la conferenza di Solvay del 1927? Un oggetto macroscopico può effettivamente ritrovarsi in uno stato di correlazione quantistica? Dal principio di indeterminazione di Heisenberg secondo cui non è possibile determinare contemporaneamente la posizione e la velocità delle particelle subatomiche, ai fenomeni quali l’entanglement quantistico che porta a conseguenze logiche misteriose come il paradosso del gatto di Schrödinger, alla base della crittografia quantistica e del Quantum Computing.

Robotica educativa ai tempi del Coronavirus

Robotica educativa ai tempi del Coronavirus

Abstract

Si ripercorre l’esperienza della robotica educativa nel periodo del lockdown attraverso le ansie e le capacità inventive di una comunità educante che ha investito molto su un progetto educativo.

Come dimenticare quella sera del nove marzo del 2020 quando il Presidente del Consiglio appariva in televisione dicendo che non c’era più tempo, bisognava rinunciare tutti a qualcosa, cambiare le nostre abitudini per tentare di arrestare l’avanzata devastante di questo maledetto virus.

Tutorial Arduino - Parte 3: tecnica PWM e fading

Tutorial Arduino - Parte 3: tecnica PWM e fading

di Franco Babbo

Abstract

“La tecnica PWM (Pulse Width Modulation) è utilizzata in elettronica in diverse applicazioni. Nella scheda Arduino è il modo in cui viene simulata una tensione di uscita analogica sui pin A0-A5. Come vedremo, il valore della tensione che è possibile ottenere dipende da una grandezza detta “duty cycle” e può essere utilizzato, ad esempio, per variare la velocità di un motore in corrente continua o la luminosità di un diodo led. In fondo all’articolo troverete il link ad una simulazione effettuata sul portale gratuito online TinkerCAD della quale è anche possibile copiare il sorgente utilizzato.”

La robotica educativa e PNSD

Era l’ottobre del 2015 quando, con l’entrata in vigore del PNSDil documento di indirizzo del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per il lancio di una strategia complessiva di innovazione della scuola italiana e per un nuovo posizionamento del suo sistema educativo nell’era digitale”(Pnsd) gli scenari della scuola hanno, in parte, subito un evidente cambiamento. Ad ogni #Azione del Piano corrisponde oggi un’attività, un impegno, una proposta. Le azioni #4-6-15-17 parlano di “Ambienti di apprendimento laboratoriali”, di Byod, di “scenari innovativi per lo sviluppo di competenze digitali applicate”(Pnsd), in cui si chiede il potenziamento di una didattica attiva, dove l’alunno diventa protagonista e creatore del suo percorso, dove si impara ad imparare.

Robotica divertente: primi passi nella programmazione ideando giochi

Negli Istituti Tecnici, al secondo anno, è previsto lo studio di una disciplina denominata Scienze e Tecnologie Applicate (S.T.A.). Lo scopo di questa materia, essenzialmente, è quello di fornire i rudimenti delle discipline di carattere tecnico, aiutando così i ragazzi ad orientarsi nelle scelta definitiva dell’indirizzo di studio nel successivo triennio. Nell’Istituto in cui insegno, ad esempio, esistono, tra gli altri, due indirizzi affini: Informatica ed Elettronica. Nelle seconde classi, quindi, mi trovo a formare alunni su argomenti riguardanti le basi di elettrotecnica ed elettronica ed i fondamenti di logica e programmazione.

Robotica: la teoria dei sistemi spiegata ai bambini

Ai miei tempi, quando ero un alunno, l'ausilio didattico dell'insegnante era principalmente il libro di testo. Un mio professore, tuttavia, un giorno portò in classe quello che poteva essere un antesignano del PC (era la fine degli anni 70): un semplice computer programmabile in BASIC con un gioco che lui stesso aveva sviluppato. Si vedeva un puntino muoversi come fosse una pallina che rimbalzava verso una schematica porta di calcio  ed un omino, che doveva essere un portiere di calcio, agitarsi per effettuare la sua parata. In quel momento ho compreso che con la matematica si può rappresentare e simulare qualunque elemento del mondo reale. Questo ebbe come logica conseguenza la mia passione per la Teoria dei sistemi ma, sopratutto, non ho mai spesso di "inventare" esperimenti ed oggetti che potessero chiarire i concetti teorici.

La Teoria dei sistemi è una disciplina che, come ben sanno molti miei colleghi, è materia di insegnamento negli istituti tecnici industriali oltre che, naturalmente, in molti corsi universitari. Riguarda principalmente lo studio dei sistemi automatici ovvero apparati in grado di eseguire operazioni in maniera autonoma.

Il sistema in questione può essere relativamente semplice o anche molto complesso.  Il forno che tutti abbiamo in cucina è un esempio di sistema semplice: è in grado di raggiungere e mantenere autonomamente una temperatura prefissata. Il pilota automatico di un aereo è un esempio di sistema complesso: è progettato in modo da mantenere la rotta prestabilita esaminando un numero considerevole di variabili contemporaneamente (altitudine, velocità del vento, posizione GPS, ecc.) ed agendo sul motore e sui diversi dispositivi di movimentazione posti sulle ali.

Normalmente si rappresenta un sistema automatico come un congegno al quale viene fornita in ingresso una certa grandezza e dal quale ci si aspetta il raggiungimento di un certo obiettivo in uscita in base a tale grandezza. Tornando all’esempio del forno: imposto la temperatura desiderata (ingresso), il sistema confronta l’ingresso con la temperatura effettiva (uscita), raggiunge tale temperatura in tempi più o meno brevi (velocità di risposta) e la mantiene finché non verrà spento (regolazione); tutto questo nonostante si vada ogni tanto a controllare lo stato di cottura aprendo lo sportello (immunità dai disturbi).

Gli strumenti matematici per lo sviluppo di un sistema automatico si acquisiscono nella scuola secondaria superiore ed eventualmente consolidano durante gli studi universitari. Alcuni concetti fondamentali tuttavia possono, a mio avviso, essere introdotti e compresi, in maniera relativamente semplice, forse fin dalla scuola primaria.

La cosa interessante, infatti, è che, in definitiva, possiamo rappresentare e studiare il mondo fisico che ci circonda e perfino noi stessi attraverso i concetti tipici della teoria dei sistemi. Si pensi ad esempio ai fenomeni naturali che regolano e mantengono il clima nei diversi ecosistemi, i meccanismi attraverso cui le diverse specie animali e vegetali si adattano all’ambiente ottimizzando le risorse (acqua, luce), le cellule che si autoregolano negli organismi viventi.

Del resto, il compito stesso dell’insegnante non consiste forse nell’effettuare un continuo “processo di regolazione” confrontando periodicamente l’uscita del “sistema alunno” (livello di apprendimento) con l’ingresso desiderato (livello atteso)?

In effetti, la questione più affascinante, a mio avviso, risiede proprio nella possibilità di rappresentare  il comportamento umano, con particolare riferimento all’apprendimento, attraverso una schematizzazione stile Teoria dei sistemi. Sotto questo aspetto i nostri ragazzi, dalla primaria alla secondaria superiore, sono, ovviamente molto più “esperti” di noi visto che la fase di apprendimento è in pieno svolgimento.

Si pensi all’azione del bere un bicchiere d’acqua … semplice? Quante volte avremo ripetuto questo gesto prima di riuscire da piccoli a compierlo? Chi ce lo ha insegnato? Evidentemente i nostri occhi hanno osservarto qualcuno mentre eseguiva il gesto del bere e la nostra mente, elaborando i dati dei vari inevitabili insuccessi, alla fine avrà permesso la riuscita dell’impresa.

In effetti il bere un bicchiere d’acqua è un ottimo esempio di sistema automatico. Per prima cosa dobbiamo afferrare il bicchiere: l’ingresso del nostro sistema è la posizione del bicchiere, l’uscita la posizione della mano. Noi agiremo in modo da rendere la nulla la differenza tra queste due variabili muovendo il braccio nella giusta direzione. Per fare questo dovremo confrontare la posizione mano-bicchiere e regolare l’intensità dei nostri muscoli in un processo continuo. Naturalmente anche l’azione dell’afferrare il bicchiere e del portarlo alla bocca possono essere scomposti secondo procedimenti simili, individuando le opportune variabili.

Naturalmente questi concetti sono ampiamente utilizzati in robotica. In effetti l’uso dei robot consente di mettere in luce i diversi aspetti della regolazione automatica a vari livelli di astrazione. La semplice osservazione diretta del comportamento di robot programmati dall’insegnante e con l’opportuna mediazione da parte di quest'ultimo, può effettivamente permettere l’introduzione di questi concetti fondamentali fin dai primi anni di scuola, aprendo così la strada verso nuove tecniche di ragionamento. Salendo di livello saranno gli stessi studenti a programmare i robot in modo che implementino un determinato comportamento, passando così da una fase di semplice osservazione ad una più evoluta di progetto e sviluppo.

Nel video raggiungibile attraverso il link in fondo all’articolo osserviamo un’applicazione di questi concetti che io stesso ho utilizzato più volte, in particolare durante i ministage di orientamento, cioè per i ragazzi della scuola secondaria di primo grado.

Vediamo due robot. Il piccolo rover su ruote è realizzato con il kit Lego Mindstorms e programmato con LabView per Lego; le gambe robotiche invece le ho sviluppate usando una tecnologia mista: componenti Lego per le parti meccaniche e scheda Arduino per l'elettronica di controllo (in questo caso ho usato il C++ come linguaggio di programmazione). Un minirobot è programmato per muoversi in avanti, l’altro, che insegue, dovrà mantenersi ad una certa distanza prestabilita. 

Il secondo robot, evidentemente, sta implementando un sistema a retroazione: l’ingresso è la distanza desiderata e viene inserita da programma; l’uscita è la distanza effettiva tra i due robot, l’azione della regolazione è il confronto continuo della posizione reciproca dei robot ed il comando dei motori per mantenerla costante.


Spero, a questo punto, di aver fornito qualche spunto utile per le vostre lezioni di sistemi automatici o semplicemente per introdurre, in maniera divertente, alcuni dei concetti fondamentali su cui si fonda tutta la moderna Teoria dei Sistemi cioè, di fatto, la disciplina volta a progettare praticamente ogni attuale dispositivo elettronico, elettrico, meccanico e perfino utile allo studio del comportamento umano e dei più diversi fenomeni sociologici.


Se siete interessati ai programmi che ho sviluppato nei diversi robot seguitemi nei futuri articoli e non esitate a contattarmi.

https://youtu.be/cyMof6pEu-8


Alla prossima,

ing. Franco Babbo

 

 

L’internet delle cose: incontro (e scontro) tra l’uomo e l’intelligenza artificiale

Ormai è assodato: viviamo in un mondo 3.0 in cui l’uomo e le macchine sono in simbiosi. Ciò che in passato ricadeva nel mondo della fantascienza (vedi “Man Computer Symbiosis” di Joseph Licklider), è diventato realtà. Le nuove forme di comunicazione insieme all’incredibile ed inarrestabile sviluppo di nuove tecnologie hanno permesso la digitalizzazione delle nostre vite. L’ultima frontiera è stato rendere degli oggetti intelligenti, cioè capaci di prendere autonomamente delle decisioni.

Robot e robotica a scuola

 

minirobotics legs: Lego + Arduino technology + Makeblock

 

Vorrei proporre qualche, spero utile, spunto didattico tratto dalla mia esperienza circa l’impiego della robotica nell’ambito della disciplina Sistemi Automatici e di alcuni corsi che ho avuto il piacere di condurre presso l’Istituto Tecnico “G.Malafarina” di Soverato dove attualmente lavoro.

Cercherò di far questo argomentando su quello che, secondo me, è il significato più opportuno da attribuire ai termini Robot e Robotica non in un contesto qualsiasi ma piuttosto in ambito strettamente scolastico.

Partiamo da Robot.

Noi insegnanti, prima di affrontare una lezione, predisponiamo, in genere, una mappa mentale, più o meno definita, sicuramente rilocabile, duttile, tale da essere facilmente adattabile; ciò che l’attore di teatro definirebbe, diciamo, un “canovaccio”. Il bravo docente però, sa bene che in questo caso gli attori sono gli alunni. Ed ecco che entra in “scena” (tanto per rimanere in tema) il Robot.

La definizione di Robot che, in ambito scolastico, io darei, è la seguente: piccolo sistema automatico grazie al quale l’insegnante può impartire nozioni secondo la pratica dell’apprendere dal fare.

Tuttavia, a mio avviso e per esperienza personale, la lezione sarà tanto più coinvolgente quanto maggiore sarà la partecipazione dei ragazzi alle diverse fasi progettuali e realizzative del Robot. L’insegnante dovrà essere così valente da coinvolgere gli alunni nei vari stadi di sviluppo qualunque sia il loro livello di conoscenza tecnica, mediando ed operando le opportune semplificazioni concettuali o pratiche. Tanto più gli alunni saranno partecipi alla creazione del Robot, tanto più facile sarà la comprensione dei fenomeni fisici che osserveranno, tanto maggiore sarà l’interesse che dimostreranno.

Ci sono, inoltre, a mio avviso, altri aspetti fondamentali e degni di nota inerenti il coinvolgimento dei ragazzi nelle diverse fasi realizzative di un piccolo robot didattico. Ciascuno, infatti, secondo le proprie capacità, potrà sentirsi partecipe di un progetto comune, provando l’esperienza (così importante nella realtà aziendale ad esempio) del lavoro in team e per obiettivi. Inoltre, non è infrequente riscontrare un aumento dell’autostima ed un miglioramento dei rapporti di classe tra i diversi alunni coinvolti, oltre che, naturalmente, l’atteso perfezionamento della competenza prettamente tecnica. Insomma, a mio avviso, è una stupenda occasione per liberare l’espressività dei nostri alunni: c’è il piccolo mago informatico, chi sa realizzare cose stupende dal punto di vista meccanico, chi è bravo nel sistemare i fili, ecc. 

L’aspetto interessante, quindi, dell’approccio robotico è che, di fatto, la lezione inizia già con l’affrontare insieme agli alunni le funzionalità che il prototipo dovrebbe avere.

Arrivati a questo punto ci si potrebbe, a giusta ragione chiedere: ma, lezione su cosa?

E qui entra in gioco il termine Robotica. A me piace pensarla così: la scienza che racchiude più scienze.

Quali? Direi che abbiamo solo l’imbarazzo della scelta. Andiamo con ordine:

Elettronica. Un robot è un concentrato di dispositivi elettronici. Avremo sempre a che fare con schede dotate di microcontrollore cui collegheremo diversi componenti per l’interazione con il mondo esterno. Si pensi allo sterminato insieme di trasduttori quali termocoppie, fotocellule, giroscopi, sensori ad ultrasuoni e così via. Questi ultimi, uniti allo studio del comportamento dinamico del robot, offriranno spunti praticamente infiniti anche per i vostri esperimenti di Fisica.

Inoltre, un sistema automatico deve essere programmato. Trattiamo quindi argomenti fondamentali per l’apprendimento dell’informatica ma con un approccio differente dalla programmazione standard finalizzata soltanto all’applicativo PC o mobile. Abbiamo infatti l’opportunità di verificare dal comportamento nel mondo fisico, cioè il nostro e non quello virtuale, la correttezza di un certo algoritmo.

Inoltre lo studio della Matematica (il funzionamento richiede la corretta applicazione di formule) e della Geometria (la struttura stessa del robot o le sue evoluzioni nello spazio possono essere progettate o analizzate dal punto vista geometrico), l’approfondimento della lingua Inglese (a causa dell’indispensabile conoscenza della terminologia tecnica), possono trarre vantaggio dall’uso della robotica in classe.

Infine, lo studio del comportamento del robot, in quanto sistema programmato dall’alunno che lo avrà dotato di capacità decisionale, potrà fornire certamente spunti utili anche per materie non strettamente tecniche quali la Filosofia e la Psicologia.

Qualunque sia le disciplina, non sembra dunque insensato pensare che la robotica, intesa come sperimentazione attraverso il progetto e l’uso di un robot, possa fornire quella marcia in più per apprendere dal fare possibilmente divertendosi.

 

In questa rivista vedremo in dettaglio diverse tecnologie per realizzare piccoli sistemi robotici, servendoci anche di video ed esempi interattivi consultabili online.

In particolare tratteremo diffusamente di Arduino UNO R3 (scheda programmabile OpenHardware e OpenSource, dotata di microcontrollore ATMega320p, programmabile in C), del kit Lego Mindstorms (denominato attualmente EV3, basato su ARM9 con kernel Linux, programmabile con una versione dedicata di NI LabView), del microcomputer Raspberry PI3 (Quad Core Broadcom BCM2837 64bit CPU, programmabile in Python o C), nonchè di tutti i trasduttori, sensori, adattatori necessari al funzionamento e della parte relativa alla programmazione.

 

Per concludere vi lascio un paio di link in cui potete osservare alcuni piccoli robot in azione.

https://youtu.be/YmuZdinuoC0 

Qui troviamo un prototipo da me realizzato durante il periodo dell'orientamento nell'A.S.2016/17. Fu molto divertente azionarlo, i ragazzi ne rimasero entusiasti. Si tratta di un minirobot realizzato con una tecnologia mista, in grado di muoversi se vengono percepiti suoni. La parte meccanica è assemblata utilizzando i componenti Lego del kit Mindstorms (NXT per la precisione, la versione precedente alla attuale EV3, i mattoncini però sono identici), l'elettronica programmata è invece costituita da una shield (diciamo un adattatore, vedremo questo aspetto molto bene nei prossimi numeri) della Mindsensors contenente un clone della scheda Arduino. Normalmente per quest'ultima parte si usa il mattoncino "intelligente" della Lego, tuttavia ho voluto sperimentare qualcosa di nuovo. Il prototipo è dotato di un microfono (della Makeblock) grazie al quale è possibile percepire i suoni esterni.

 

https://youtu.be/BtdnTIL2NaQ

In questo secondo video osserviamo le gambe robotiche mentre "portano a spasso" una sorta di mini robot-dog. Quest'ultimo è un progetto EV3 classico, ovviamente progammato in maniera opportuna; in questo caso in modo da seguire un oggetto in movimento.

 

Un arrivederci dunque ai prossimi articoli dove inizieremo ad occuparci della realizzazione pratica dei nostri piccoli giocattoli robotici.

 

Ing.Franco Babbo

 

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