Tecnologie, Genitori e Minori

Quanto produci?

Quanto produci?

In questo articolo parleremo dello sfruttamento dei bambini in video attraverso la loro esposizione massiccia alla Rete. Discuteremo degli aspetti morali e delle indicazioni fornite da parte delle Istituzioni.

Alzi la mano chi non si è mai sentito dire questa frase: “pensi che questa casa sia un albergo?”.

Non so il lettore, ma io tante volte. Quando rincasavo oltre l’orario predefinito oppure quando mi svegliavo tardi lasciando la stanzetta in disordine o i libri sparsi per la scrivania che dovevo puntualmente sistemare per rispondere “no” alla questione di sopra.

A dirla tutta, la stessa frase veniva proclamata costantemente anche a scuola quando il professore ci imponeva di lasciare in ordine gli spazi che occupavamo. L’idea che un bambino, adolescente o adulto, debba sentirsi parte integrante del luogo in cui abita e debba prendersi cura del proprio habitat senza pensare di gravare sulle spalle altrui l’ho portata dietro per tutta l’università e, a dirla tutta, me la trascino ancora. Ha qualcosa di didattico tutto questo? Certamente.

È una frase attuale? Un po’ meno forse: in questo articolo cercheremo di capire perché quella stessa domanda oggi sia diventata (non in tutti i casi sia chiaro ma in molti frangenti, sì) una interrogazione della serie: “quanto produci?”

Parleremo infatti dei bambini improvvisati star della rete per fini commerciali, con alle spalle gli agenti-genitori altrettanto improvvisati. Qualcuno dei meno giovani potrà dirmi che anche un tempo esisteva lo sfruttamento dell’immagine del bambino, ad esempio la nota trasmissione televisiva nella quale i bambini cantavano e si sfidavano per la vittoria finale oppure quella in cui piccoli e piccole si fingevano geni precoci e si sfidavano a fare radici quadrate o esperimenti chimici.

Ma oggi è diverso, intanto perché i canali impiegati sono completamente differenti: se prima vi era la TV che trasmetteva una volta la settimana o l’anno quella competizione specifica, oggi TikTok, YouTube, Instagram ecc. offrono una pervasività quotidiana costante rendendo la vita di un bambino una scatola aperta alla mercè di chiunque. Da genitore ho avuto modo di osservare con i miei occhi canali di bambini che mostrano la loro stanzetta, i loro giochini, i nuovi acquisti (c.d. unboxing), i loro fratelli e sorelle, la macchina del papà, insomma tutto ciò che circonda la loro quotidianità e il seguito di followers risulta così elevato da trasformare tutto quello in monetizzazione.

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Mi sono sempre chiesto: se non ci fosse alcun guadagno in base alle visualizzazioni, i genitori avrebbero mai consentito tutto questo? Non voglio rispondere per non apparire falso moralizzatore, non è mia intenzione, qui si tratta solo di ragionarci su. Personalmente ricordo con piacere la mia stanzetta-bunker nella quale tutto rimaneva ovattato, nella quale custodivo i miei giocattoli e le letterine d’amore delle fidanzatine senza occhi indiscreti e credo che anche quella fase sia fondamentale per la corretta crescita.

L’idea che le cose private possano essere liberamente aperte all’accesso dal mondo intero, se instillata in tenera età, può condurre a deviazioni. Si pensi a quei ragazzi che commettono atti estremi perché insultati “dalla rete”, o che diffondono immagini intime senza ritegno oppure che si filmano mentre sfidano se stessi oltre il limite ordinario. Il fatto è che passa esattamente questo messaggio: la nostra vita appartiene a tutti, anche quella privata. Uno stato di cose che io non avrei mai accettato ma che oggi, purtroppo, secondo il mio modestissimo parere, è una triste realtà che già da piccoli si impara. Esisteva anche ai miei tempi il bullismo, certo, esistevano i prepotenti, gli schernitori seriali, ma si trattava di fenomeni confinati a una piccola sfera localizzata nel tempo e nello spazio.

Oggi i nostri figli incontrano gli stessi elementi elevati all’ennesima potenza. Quando il prepotente diventa cyberbullo, quando lo schernitore diventa hater e quando l’intimità stessa viene “venduta” dal papà e dalla mamma che ti incitano a fare dei video per incrementare le visualizzazioni sei al di fuori tanto del tempo (i tuoi video saranno in rete per molto tempo e cancellarli può essere in alcuni casi impossibile) quanto dello spazio (chiunque nel mondo potrà osservarti).

Sul sito della Polizia Postale si legge testualmente: Smartphone, tablet, pc e consolle di gioco offrono incredibili opportunità di crescita per i ragazzi ma sono sempre un veicolo che rende raggiungibili dal mondo esterno e vale la pena cercare di approfondire la natura dei contatti che ha in rete e/o via smartphone. In adolescenza non è facile comprendere quando un cambiamento sia frutto dell’età e dei suoi disequilibri naturali e quando invece ci si trovi davanti il  pericolo di una minaccia oggettiva. Perfetto, quoto in toto. I dispositivi aprono una finestra nelle loro vite, un pertugio che li rende accessibili dal di fuori e non sempre chi bussa ha buone intenzioni.

Il National Center for Missing & Exploited Children, no profit del Congresso USA, ha pubblicato in un suo rapporto annuale i dati che evidenziano un sensibile aumento (circa del 30%) delle segnalazioni di sfruttamento online di minorenni in tutto il mondo. Va detto che il rapporto è del 2020 quando l’impennata dei giovani online dettata dai lockdown e dalla pandemia ha accelerato il processo aprendo molte più finestre di quante già ne disponesse.

Il “baby influencer” è il termine associato alla figura della quale stiamo discutendo. Alcuni esempi: una bambina di sette-otto anni circa nasce con un grave problema, una paresi cerebrale che le lasciava poche possibilità di vita “normale”. Quando la bambina arrivò ai due anni, la famiglia aprì un canale affinché amici e parenti potessero monitorare i suoi progressi verso una vita felice. Il pubblico crebbe a dismisura e gli stessi genitori decisero di trasformare il tutto in un’attività professionale diventando manager e stimolando la bambina ad aprire regali, documentare i viaggi che fa, sempre da protagonista indiscussa. Secondo Forbes, la famiglia, grazie a questo canale, ha incassato ventotto milioni di dollari.

A scrivere sceneggiature è la madre, con poche migliaia di dollari realizzano video in cui compaiono i prodotti da promuovere: si è iniziato con un’azienda alimentare per approdare a vestiti e macchine. Altro esempio: tra gli youtuber più pagati al mondo c’è un undicenne con quasi quaranta milioni di iscritti. L’attività principale, inizialmente, era la recensione di giocattoli. Poi ha ottenuto collaborazioni con moltissimi brand fino a lanciare sul mercato la propria linea di giocatoli e abbigliamento.

La madre ha concentrato tutto il suo lavoro sul canale del figlio. I guadagni si aggirano intorno ai dieci milioni di dollari l’anno. Sono solo due dei tanti esempi. Li ho riportati solo per far capire che i genitori hanno di fatto trasformato la loro vita ma anche quella dei figli, utilizzando l’immagine di un bambino per sfornare soldi e, se certamente possiamo affermare che la loro condizione è migliorata (avranno ridotto il monte ore di lavoro, decuplicato le economie ecc.), cosa possiamo dire dei figli? Non posso fare a meno di pensare a cosa faranno questi bambini una volta cresciuti. Avranno imparato il valore dei soldi? Vivranno un rapporto con la realtà sereno?

Quando cresceranno molto probabilmente perderanno la notorietà: come affronteranno questo passaggio considerato che molti attori adulti vanno in depressione dopo la perdita di popolarità e che i bambini in questo sono molto più fragili? Può essere raffigurato a tutti gli effetti come un lavoro minorile considerando che per lavoro minorile ci si riferisce a quell’«attività lavorativa che priva i bambini e le bambine della loro infanzia, della loro dignità e influisce negativamente sul loro sviluppo psico-fisico»?

Vorrei chiudere con i consigli che la Polizia dà ai giovani per rispondere al cyberbullismo:

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  • Prendere in giro qualcuno non è mai una buona idea: nessuno si diverte ad essere preso di mira, soprattutto sui social e sulla messaggistica. Ricordati che una battuta che insulta è sempre un’offesa e che in rete lo scherzo diventa un’onda di fango che alla fine travolge anche te. Chiedi scusa, cancella gli insulti e pensa con più attenzione a quello che scrivi in rete.
  • Molte azioni in rete possono configurare reati gravi: le password sono una cosa privata, non usare quelle degli altri. Se qualcuno usa il tuo profilo social parlane subito con i tuoi genitori e sporgi una denuncia, nessuno può sostituirsi a te nei tuoi spazi web.
  • I profili social sono un sistema informatico a cui non puoi accedere se il profilo non è il tuo.
  • Le immagini private e intime non possono essere condivise senza autorizzazione dei genitori se riguardano minori, e senza autorizzazione di chi è stato fotografato o ripreso: commetti reato e rischi grosso se cerchi popolarità usando le immagini degli altri per deriderli.
  • Se qualcuno ti fa sentire sbagliato non rimanere in silenzio: sei perfetto come sei e non c’è timidezza che possa meritare insulti e prese in giro. Il cyberbullismo è una forma di persecuzione che deve essere fermata, possono essere commessi dei reati da denunciare e per cui essere protetti dalla polizia. Parlane con i tuoi genitori e vedrai che ne uscirai.

Ecco, appunto, parlane con i genitori. Ma se sono essi stessi ad esporti al cyberbullismo come puoi uscirne?

Lasciamo che i bambini crescano sereni con i loro errori, i due in pagella, le croste sulle ginocchia e i raffreddori e, soprattutto, con quella stanzetta nella quale, più il tempo passa e meno possibilità di accesso avremo. Ed è giusto così, perché ci sarà sempre una parte di noi che dobbiamo tenere nascosta agli altri, come la luna che fa brillare solo uno spicchio di sé e rimane così bella proprio in virtù di quel mistero che ci invita a scoprirla giorno dopo giorno.

SITI CONSULTATI

https://www.commissariatodips.it/consigli/per-i-genitori/navigazione-sicura-per-adolescenti-11-17anni-rischio-online-quando-fare-attenzione/index.html
https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/sfruttamento-dei-minori-online-in-forte-aumento-cause-contromisure-effetti-collaterali/

Claudia Cremonesi

a cura di

Paolo Preianò

Ingegnere

Esperto in sicurezza sul lavoro

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