Tecnologie, Genitori e Minori

Diventare adulti nel tempo del metaverso

Diventare adulti nel tempo del metaverso

Il dato è incontestabile: siamo tutti iperconnessi e vittime della ‘nomofobia’, ovvero della 'NO MObile Phone PhoBIA', espressione usata per descrivere la condizione psicologica che può svilupparsi nei soggetti vittime dell'irrazionale timore/paura di rimanere privati della connessione a Internet mediante il proprio smartphone.

Non c’è differenza di età: bambini, adolescenti o adulti viviamo in una condizione nella quale tramite Internet siamo sempre raggiungibili e possiamo sempre raggiungere persone o accedere a informazioni, il che ci trasmette una sensazione di benessere e sicurezza che si interrompe quando, per motivi vari, si interrompe la connessione.

Al di là degli oggettivi e innegabili aspetti positivi che Internet offre, è doveroso però interrogarsi su quale sia il prezzo della nostra iperconnessione che, se da una parte ci tiene in costante collegamento con il mondo, dall’altra ci spinge sempre di più nel metaverso, cioè nel mondo virtuale degli ambienti digitali che ci inducono ad abbandonare la vita reale perché più accoglienti e gratificanti.

In particolare è doveroso chiedersi quale e di che portata sia il riverbero creato dall’iperconnessione sulla connessione reale con noi stessi, soffermandosi con attenzione sui danni che essa produce su bambini e ragazzi, su coloro, cioè, che vivono gli anni della definizione della loro specificità psicologica e caratteriale a partire dalla costruzione della loro immagine corporea, che è legata a ciò che le persone provano guardandone l’aspetto fisico. Questo passaggio è particolarmente delicato perché la transizione psicologica e neuro-biologica che caratterizza infanzia e adolescenza darà forma al cervello adulto definendo le reti di connessione neurale che consentono all’individuo di acquisire le competenze cognitive, emotive, relazionali e affettive che rimarranno stabili per il resto della vita.

È evidente che in tale ottica un ruolo preponderante è svolto dai social, strumenti di diffusione virale di contenuti visivi che creano un impatto straordinariamente forte sugli utenti anche in quanto cassa di amplificazione di un modello di perfezione estetica, peraltro quasi mai autentica, ma ottenuta attraverso l’applicazione di filtri che consentono di modificare la persona ritratta.

In base a numerosi studi scientifici basati sul paradigma bio-psico-sociale di Engel, è emerso recentemente che in Italia una percentuale altissima di bambini e ragazzi è insoddisfatta del proprio corpo e che sin dai 5 anni di età i bambini sono in grado di percepire il giudizio degli altri sul loro aspetto fisico. Questo accade per i più piccoli spesso a partire dalla sovraesposizione mediatica cui i genitori li sottopongono attraverso quello che è definito ‘sharenting’, una sorta di storytelling della vita del minore che inizia talvolta quando il bambino ancora non è nato, attraverso la divulgazione di immagini relative alle ecografie fetali, che prosegue attraverso la condivisione di immagini o di video che ne immortalano i momenti salienti della crescita, come le prime parole, le prime pappe o i primi passi. Questo fenomeno, assai diffuso tra i personaggi dello spettacolo, viene sottovalutato nei danni che può produrre esponendo i bambini alla lesione dei diritti alla privacy, all’oblio e alla reputazione digitale, dei quali gli stessi genitori dovrebbero essere i primi garanti.

Il passaggio dall’infanzia alla pre-adolescenza e all’adolescenza è segnato dall’acquisizione dell’autonomia, da parte del giovane, nella divulgazione dei contenuti social, ancora più centrati sulla esposizione del corpo, attraverso quella che viene definita ‘vetrinizzazione’, la quale spesso comporta il conseguente impulso alla magrezza e alle restrizioni alimentari che possono sfociare nella cosiddetta ‘anoressia da vetrinizzazione’. Ma non finisce qui: infatti lo step successivo alla condivisione di una propria immagine è quello che porta al controllo continuo delle notifiche per verificare l’impatto che essa ha prodotto sui propri followers, con l’attivazione del meccanismo di gratificazione prodotto dalla ‘contabilizzazione’ dei like che induce la produzione della dopamina, neurotrasmettitore alla base dei meccanismi delle dipendenze, tra cui quella da Internet di cui soffrono in Italia  8 milioni e 200 mila giovani tra i 12 e i 25 anni (dati Istat del 2020).

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Quanto su riportato costituisce solo un esempio degli effetti prodotti da un abuso della connessione ai social, cui vanno uniti quelli legati al gaming online (videogiochi fruibili attraverso la connessione a Internet) che produce cambiamenti neurovegetativi avversi sulla corteccia orbito-frontale, portando a una minor alimentazione della sostanza bianca del cervello con conseguenti ritardi nello sviluppo del linguaggio da parte del bambino, alle challenge (sfide online spesso pericolose che vengono ‘registrate’ producendo contenuti video diffusi viralmente), al body shaming (atto di deridere e/o discriminare una persona per il suo aspetto fisico), al sexting (pratica di inviare o postare messaggi di testo e immagini a sfondo sessuale), alla sex tortion (ricatto a sfondo sessuale).

Acquisito che non è possibile tornare a un mondo senza Internet e senza tutti i prodotti a esso collegati, per cercare di contrastare i fenomeni sopra descritti la Scuola italiana si è attivata inserendo come uno dei pilastri della nuova Educazione civica, disciplina curricolare nella scuola superiore dal 2020, l’Educazione alla cittadinanza digitale: finalizzata a consolidare ulteriormente il ruolo della scuola nella formazione di cittadini in grado di partecipare attivamente alla vita democratica anche attraverso l’acquisizione di un approccio consapevole al mondo del web in quanto incardinato sullo spirito critico e sul senso di responsabilità, essa risulta necessaria per conoscerne e comprenderne i meccanismi al fine di usare la rete senza esserne usati.

Ciò si rende possibile a partire da una riflessione sulla gratuità delle applicazioni social, utile per ricordare che, come ben esplicitato nel docufilm The social dilemma del 2020, ‘se il prodotto è gratis, il prodotto sei tu’, espressione che sottolinea come, inconsapevolmente, immettendo i nostri dati nella rete alimentiamo un gigantesco giro di denaro, sottoponendoci a una vera e propria ‘dittatura della sorveglianza’ che ci rende costantemente tracciabili, oggetto incosciente di studi di algoritmi che governano la nostra vita condizionando le nostre scelte, dalle più banali (ma non del tutto), come ad esempio quella di una marca di biscotti piuttosto che un’altra, alle più importanti, come ad esempio quelle politiche.

Le domande che si pongono, a questo punto, sono numerose.

Perché tanto bisogno di consenso pubblico? Quanta parte della nostra libertà e della nostra serenità siamo disposti a cedere per ottenerlo? Cosa possono fare i genitori per cercare di limitare i danni prodotti dalla iperconnessione sui loro ragazzi?

Certamente trovare risposte a quesiti tanto complessi non è semplice, soprattutto in relazione al ruolo, etico e di responsabilità, che i genitori devono svolgere per proteggere i figli non solo dai rischi che possono sopraggiungere dall’esterno, ma anche da quelli a cui possono loro stessi esporli attraverso lo sharenting.

Ciò richiama la necessità dell’istruzione/educazione anche degli adulti al mondo digitale, poiché spesso non conoscono caratteristiche e rischi del web.

Pertanto di seguito si fornisce un decalogo con semplici norme per i genitori, ai quali si consiglia di:

  1. tenere presente che il mondo online, che comprende chat, social o videogame, non è virtuale, ma assolutamente reale;
  2. assistere i figli nella configurazione dei propri account sulle varie piattaforme decifrando insieme le impostazioni, come quelle in tema di privacy e sicurezza;
  3. interessarsi alla vita digitale dei figli senza banalizzare ciò che riferiscono, insistendo sull’importanza di parlare con un adulto di riferimento di qualsiasi disagio si trovino a vivere in rete;
  4. fare attenzione alla vita in rete dei minori per verificare che non subiscano ma anche che non compiano abusi;
  5. essere d’esempio nel trattare con rispetto le altre persone online;
  6. spiegare che un contenuto online ci resta per sempre e che pertanto una volta postato un testo, un video o una foto non è più possibile eliminarli dal web;
  7. evitare l’iperesposizione mediatica dei minori attraverso lo storytelling della loro vita;
  8. mostrare che Internet, se saputo usare, è un mondo infinito da cui attingere informazioni utili, facendo attenzione alle fake news e imparando a selezionare le fonti affidabili;
  9. limitare quantitativamente e qualitativamente il tempo trascorso dai figli in rete impostando insieme alcuni limiti all’utilizzo consentito dei device, da concordare sulla base dell'età del ragazzo o della ragazza e del suo livello di maturità, nel rispetto del patto di fiducia reciproca genitore-figlio;
  10. ricordare che la dipendenza dallo schermo è spesso sintomo, non causa di un malessere.

a cura di Raimonda Bruno, Discipline Letterarie e Latino

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