Scienze ed altri saperi

Alla ricerca della coscienza: Una sete inaspettata (parte prima)

Alla ricerca della coscienza: Una sete inaspettata (parte prima)

a cura di F. M. Oraldo Paleologo :: Ingegnere chimico - Dottore in Scienza della Vita

Era notte. Nell’oscurità del sonno un uomo viene destato da un’insopprimibile arsura. Si leva, dirigendosi verso il frigorifero, da cui estrae una bottiglia di acqua fresca. La sorseggia, lasciando che la frescura del fluido penetri al suo interno. Placata la sete, volge lo sguardo ad un’altra acqua, quella tenebrosa e misteriosa del lago Tahoe, fuori dalla finestra.

Null’altro che inquietante silenzio. L’uomo torna a letto, cercando di riaddormentarsi. Solo che quella notte, non furono esperimenti mentali, né formule matematiche ad occupargli la mente prima che si riaddormentasse.

Avvertì nel petto un’arsura ineffabile, ben più forte della sete fisica che l’aveva spinto ad alzarsi dal letto. Un’energia vibrante, che lo scosse dalle fondamenta. E fu così che nel cuore della notte, tutto gli apparve chiaro, d’un infuocato splendore. Quella notte, l’uomo comprese che nell’Universo v’era altro, oltre la materia. Quell’uomo aveva esperito lo Spirito.

Quanto narrato potrà richiamare nel lettore il racconto di una qualche esperienza oltremondana, un miraggio di una visione escatologica ormai fuori moda nell’era di Internet, dell’Intelligenza Artificiale e dei Robot: ciarpame mistico di basso livello. In realtà l’uomo di cui si è narrato è Federico Faggin, il più grande progettista italiano vivente, l’inventore del Microprocessore, che ha stravolto le nostre vite aprendo la via all’Era delle tecnologie informatiche. Egli stessa narra di questo episodio nel suo ultimo libro “Irriducibile”, in cui affronta il cruciale tema della Coscienza.

Questa, oltre ad essere stata al centro del dibattito filosofico e teologico per diversi secoli, si presenta oggi in tutta la sua travolgente complessità, dacché lo sviluppo delle neuroscienze da un lato e dell’intelligenza dall’altro inducono ad una riflessione più profonda. Che cos’è la coscienza? Dove risiede? Può un robot sviluppare un qualcosa che somiglia alla coscienza umana? Queste le ineluttabili domande cui l’uomo è tenuto a rispondere. Secondo Faggin, l’unificazione tra mente e materia (quel connubio che la Von Franz ha definito Unus Mundus) è possibile solo se la scienza riuscirà a recuperare la sua dimensione “spirituale”, rinunciando al dogma riduzionistico per il quale ogni cosa è riconducibile alla dimensione materiale (e materialistica) di ciò che esiste.

Detto in altri termini, accanto al concetto di quanta, inteso in senso lato per indicare tutto ciò che può essere quantificabile, va posto quello di qualia, sotto la cui denominazione vanno tutti gli enti che non sono quantificabili per le emozioni, ovvero le sensazioni, i sentimenti, le emozioni e così via. Rinunciando al dogma materialistico, secondo cui la coscienza è generata dalla materia, si ritorna ad una visione antica, ma di estrema attualità: la coscienza è irriducibile. Nessuna Intelligenza Artificiale sarà mai in grado di sostituire l’uomo, dacché la sua coscienza non solo è irriducibile, ma in quanto tale è irriproducibile: ciascuno ha la sua coscienza (sic!). Sarà vero?

Prendendo come riferimento il meraviglioso libro di Faggin, nella presente sezione verranno sviluppati alcune tematiche fondamentali per avventurarsi alla ricerca di cosa sia la coscienza, non per offrire risposta, ma per suscitare domande e problemi, cui ciascun lettore potrà dare la propria risposta e sviluppare la propria concezione del mondo. Come ebbe a dire Einstein:” Il mondo come lo abbiamo creato è il risultato del nostro pensiero. Non possiamo cambiarlo senza cambiare il nostro modo di pensare.”. In questa prima parte verrà sviluppato il tema della sincronicità: un’idea antica, rievocata dai testi fradici e impolverati delle biblioteche medioevali, scritti quando i filosofi e i teologi tentavano, percorrendo antiche vie, di dimostrare razionalmente che un Dio deve pur esserci in questo Universo, qualsiasi cosa Esso sia. Il termine fu introdotto da Jung, il quale ne discusse diffusamente col premio Nobel Wolfang Pauli.

Dar ragione di questo concetto, non è impresa da poco. Lo stesso Jung espresse le sue difficoltà a riguardo allorquando gli chiesero, in un’intervista radiofonica, cosa fosse la Sincronicità. Una bella storia, come di sovente accade quando la via del linguaggio diretto è impedita, può forse servire ad esemplificare il concetto: una paziente di Jung, strenua razionalista, materialista e scientista, non riusciva ad aprire il suo animo per far sgorgare il suo “flusso di coscienza”, per dirla con Joyce. Accadde che una notte vide in sogno uno strano animaletto, un coleottero, di quelli dal dorso dorato. Mentre raccontava l’episodio al dottor Jung, questi avvertì un rumore nei pressi della finestra. Si voltò, l’aperse, e uno scarabeo, identico a quello visto nel sogno dalla paziente, entrò nella stanza. Ecco: questa fu una Sincronicità. Per dirla altrimenti, una coincidenza densa di senso. Lo scarabeo, nella Somma Sapienza Egizia, era il Simbolo della Rinascita del Sole, e con essa, del Rinnovamento della vita. I due sensi erano connessi dal quel lineamento dorato, a rappresentare il Percorso Solare.

L’Immagine Archetipica dello Scarabeo, costellata nella coscienza della paziente, e, sincronicamente, apparsa in forma fisica nell’evento esterno legato all’apparizione dell’insetto, sbloccò l’avvio della seduta. Jung stesso narra questo episodio e lo adduce come prova del nuovo principio di Sincronicità. A ben vedere, il Principio di Sincronicità rivoluziona una parte consistente della visione del Mondo, psicologica e fisica insieme. Quando due eventi possono dirsi sincronici? In maniera schematica (e forse riduttiva, poiché qualunque schema de-limita, ma al contempo limita), quando per i due eventi si riscontrano le seguenti quattro condizioni:

          • Parallelismo di significato;
          • Parallelismo Temporale;
          • A-causalità;
          • Inapplicabilità delle leggi statistiche.

Perché la sincronicità è così importante per l’indagine sulla coscienza? Perché i qualia che introduce Faggin potrebbero essere considerati eventi sincronici. Immaginiamoci con il volto in su a mirare il cielo stellato. Tutti noi abbiamo provato quella morsa al cuore densa di sublime melanconia. Possiamo legare causalmente la nostra sensazione alla visione delle stelle? O piuttosto dovremmo chiederci se la presenza esteriore delle favelle luminose e la nostra commozione non siano legate secondo una legge simbolica e sincronica? Un robot può essere programmato in maniera tale da provare la stessa sensazione davanti alla volta stellata?

Premesso che un’indagine scientifica (nel senso Galileiano del termine) è al momento impossibile, in quanto gli eventi sincronici non si manifestano in maniera regolare, non sono prevedibili né riproducibili, ammettere che il Principio di Sincronicità possa essere Reale, nel senso Kantiano del termine, porterebbe a rivoluzionare notevolmente tre dei concetti fondamentali cardini della Fisica Moderna: Spazio, Tempo, causa-effetto. Il parallelismo di significato, richiama immediatamente la costellazione dell’archetipo, insieme alle Immagini Archetipiche che ad esso si accompagnano: è come se dalle Profondità dell’Abisso, comune alla Psiche e alla Materia, un Archetipo dettasse il ritmo degli eventi, uno interno, nella coscienza dell’uomo senziente, l’altro esterno, nel mondo fenomenico, connessi da una mirabile coincidenza di senso. In tali circostanze, ciò che si intende per lo spazio e il tempo ordinari perde la propria valenza, si annulla, viene vanificato dall’insorgere di nuovi spazi e nuovi tempi. Come misurare difatti la distanza tra l’evento interno e quello esterno? Ha senso invero parlare di distanza tra di essi?

Gli eventi sincronici possono verificarsi contemporaneamente, sincronisticamente, ma anche essere distanziati nel tempo. E allora, per questo unico Atto archetipico, scisso nei due eventi sincronici, che senso ha il Tempo? In realtà, il tempo nel Principio di Sincronicità perde il suo carattere sequenziale, il suo aspetto quantitativo, la sua essenza fatta di successione di istanti, per assumere una valenza qualitativa: il Tempo scorre identicamente per eventi dotati del medesimo senso. In Cina, la sapienza de I Ching l’aveva compreso molti secoli prima. O forse, il Tempo si ferma, si annulla, non esiste, per due eventi siffatti. Arduo a dirsi. Così come è altrettanto arduo, per l’Uomo Occidentale, non organizzare il reale secondo il Principio di Causa-Effetto. In effetti, questo Principio contiene in sé il concetto di freccia del tempo: la Causa precede sempre l’Effetto, mai viceversa. Gli eventi sincronici sono rigorosamente a-causali.

La Sincronicità non si riferisce tanto alla nozione di Tempo, quanto a quella di Causalità. Il Tempo è soltanto implicito in essa. Anzi, gli eventi sincronici forse non necessitano della nozione di tempo perché possano verificarsi. Gli scettici (guai se non ci fossero: dubium initium Sapientiae, per dirla con Cartesio), potrebbero obiettare che gli eventi sincronici siano realtà frutto del puro caso, della combinazione dei dadi gettati sul tavolo del Mondo da quel fanciullo gioioso di nome Aion (Eraclito). In realtà, due eventi si dicono sincronici quando le leggi statistiche risultano inapplicabili. Pauli fu persuaso dell’idea di Sincronicità, a tal punto che pretese l’omonima opera di Jung venisse pubblicata insieme al suo lavoro sugli influssi Archetipici nell’opera di Keplero, sebbene l’oscurità del linguaggio Junghiano, insieme a qualche pecca insita nelle prove addotte a conferma della teoria, oggi rende il suo scritto inaccessibile ai più.

La bellezza, il fascino, e l’attendibilità del Principio di Sincronicità, rimangono tuttavia intatte. Per mostrare come ricorrere alla Sincronicità possa aiutare ad inquadrare alcuni dei fenomeni fisici più notevoli, se ne addurranno due esempi, strettamente connessi al pensiero e al lavoro di Pauli. Il primo, è il paradosso EPR, o fenomeno di entanglement: se due particelle stanno in correlazione quantistica, continueranno ad esserlo anche se si troveranno disgiunte a distanza arbitraria l’una dall’altra. Due elettroni che occupano lo stesso orbitale sono entangled. Se dopo un certo istante, tale condizione non dovesse più sussistere, continuerebbero ad essere correlate, in maniera tale che se uno dei due mutasse spin, lo muterebbe anche l’altro istantaneamente. Un’interpretazione causale del fenomeno, porterebbe alla violazione del postulato della Relatività di Einstein, per il quale la velocità della luce costituisce la massima possibile.

Se a seguito della variazione di spin del primo elettrone si mandasse un segnale al secondo per spingerlo a mutare il proprio spin, questo dovrebbe viaggiare a velocità infinita. Un’interpretazione diversa del fenomeno, a-causale, scorge nell’ entanglement un fenomeno sincronico. David Bohm arriverà a conclusioni analoghe per altre vie. Il secondo riguarda le mutazioni genetiche del DNA: Pauli rifiutava di credere che, secondo l’interpretazione corrente, delle mutazioni cieche nel codice genetico, potessero dar vita alla meravigliosa varietà di esseri viventi che pullulano sul pianeta. Così come non ammetteva che le medesime mutazioni casuali potessero rispondere in maniera così precisa e puntuale alla necessità di adattamento e sopravvivenza in un dato ambiente. V’era forse una sorta di corrispondenza, una specie di Harmonia Universalis, che univa in maniera sincronica la scrittura del codice della Vita al mondo in cui essa era indissolubilmente legata. Alcuni studi, specie quelli di Kauffman, sembrano confermare questa intuizione. V’è qualcosa di più nel Principio di Sincronicità: le corrispondenze e le analogie.

Queste sono implicite nel medesimo requisito del parallelismo di significato, ma emergono più chiaramente quando si discute sulla complementarietà onda-corpuscolo presente nel mondo quantico. L’esperimento della doppia fenditura, celeberrimo, è quanto mai illuminante. Nel mondo macroscopico, non v’è nessuna maniera per costringere un proiettile a comportarsi a mo’ di onda, così come nessun mezzo può rendere un’onda del mare un corpuscolo. Nel mondo quantico, non è così. Le condizioni sperimentali influenzano il manifestarsi dell’elemento quantico, e fanno sì che questo si comporti ora a guisa di onda, ora di particella. Da qui, tutte le speculazioni metafisiche, ontologiche e epistemologiche sul senso della realtà. Ma vi è un modo diverso di interpretare il fenomeno, introdotto da Feynman sulla scorta degli studi sull’Analogia di Max Blank. In realtà, onda e particella non sarebbero che dei limiti, legati all’interpretazione classica del mondo, e pertanto non ontologicamente immanenti nell’elemento quantistico: sul piano dell’essere, esso rimane nascosto, inesprimibile, inconoscibile.

Si dovrebbe allora più propriamente parlare di analogia: il quanto ora si manifesta come un’onda, ora come una particella. Ecco perché la manifestazione dell’ente quantico, la sua apparenza, il suo disvelarsi, è, in un certo qual modo, sincronico. Nel suo libro, Faggin propugna questa idea fondamentale: il nostro corpo obbedisce alla fisica “newtoniana”, la nostra coscienza alla fisica “quantistica”. Pertanto, è solo attraversando il paese delle Meraviglie quantistiche, come Alice, che possiamo sperare di comprendere ciò che non abbiamo mai afferrato: la coscienza e i suoi misteri!

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