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Pensiero computazionale, problem solving, coding e robotica: competenze chiave per l’evoluzione digitale del nostro futuro

Pensiero computazionale, problem solving, coding e robotica: competenze chiave per l’evoluzione digitale del nostro futuro

Pensiero computazionale, problem solving, coding e robotica sono aspetti trasversali di una metodologia didattica nuova che , sin dalla scuola dell’infanzia, fornisce alle nuove generazioni la cultura digitale necessaria per un uso critico e non passivo della tecnologia, diventando così soggetti attivi nell’evoluzione digitale del nostro futuro.

“Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco” è il detto di Confucio che serve per capire il concetto di pensiero computazionale come base di una didattica del pensiero unita a quella del fare.

Fu introdotto per la prima volta dal matematico Seymour Papert (1928-2016) nel 1980 quando scrisse il libro Mindstorm nel quale sosteneva la teoria costruttivista dell’apprendimento secondo cui la mente umana, per potere imparare bene, ha bisogno di creare artefatti.

Immagine14Quando nei laboratori dell’MIT egli ideò il linguaggio LOGO, poneva le basi dell’importanza dell’uso delle macchine a supporto delle scienze cognitive come strumento per potere seguire strategie didattiche nuove ed efficaci. LOGO era un linguaggio di tipo “visuale”fortemente orientato alla grafica e alla geometria di base. Sullo schermo appariva un cursore triangolare chiamato tartaruga.

Questo cursore poteva essere spostato con i comandi avanti e indietro seguiti da un numero di “passi”che doveva compiere e poteva essere ruotato a destra o a sinistra di un angolo di rotazione espresso in gradi.

Grazie a Papert il computer non era più soltanto una macchina con cui elaborare e analizzare calcoli o informazioni, ma uno strumento per costruire, apprendere, scoprire e anche sbagliare. L’errore non vissuto come una sconfitta, ma come elemento concorrente alla realizzazione del processo di apprendimento.

Sbagliare significa andare alla ricerca di soluzioni alternative, attingendo alle capacità logiche e creative della mente umana. Non si tratta dunque di un approccio meccanicistico e passivo, ma di un percorso che coinvolge il pensiero umano nella sua espressione piena e libera.

La tecnologia al servizio della didattica ,facilitatore dei processi di apprendimento. Con Papert nasceva la robotica accessibile a scuole e ragazzi che, lavorando in gruppo in un laboratorio, sperimentavano soluzioni a problemi risolvibili con software accessibili, affinando le capacità logico,matematiche , spaziali, ma anche creative e collaborative.

Immagine15Venti anni dopo, un gruppo di studiosi dell’ MIT, guidato da Mitchel Resnick, sviluppava un progetto open source chiamato Scratch, il linguaggio che prevede un approccio orientato agli oggetti e che consente di elaborare storie interattive, giochi, animazione, arte e musica. Inoltre permette di condividere i progetti con altri utenti del web. In linea con le sue idee “costruzioniste”, Papert sviluppò insieme al suo gruppo dell’MIT il “set di costruzioni”arricchito con elementi robotici, offrendo così ai bambini strumenti per concretizzare il pensiero astratto e per dare libero sfogo alla creatività ed all’esplorazione di creature artificiali. Si ponevano così le basi della robotica educativa e dell’utilizzo dei robot nella didattica , metodologie che negli ultimi anni si sono diffuse in un’autentica esplosione di possibilità calibrate per tutti gli ordini di scuole.

Il pensiero computazionale ,il coding (la codifica delle istruzione mediante un linguaggio di alto livello) e il problem solving sono, abilità che si possono facilmente acquisire e rinforzare con la robotica educativa, l’ambiente di apprendimento di ispirazione costruttivista che consiste nel predisporre situazioni in cui gli studenti possono realizzare le proprie scoperte e l’insegnante condivide con gli studenti ciò che si apprende durante l’esperienza.

Robot, rover ed automatismi vari sono così il risultato di una didattica del pensiero unita a quella del fare, in modo che i giovani possano essere sempre più protagonisti del loro futuro attraverso la capacità di padroneggiare gli strumenti e le tecnologie senza esserne soltanto dei semplici fruitori passivi. La robotica può definirsi una “scienza di sintesi” in cui sapere scientifico e sapere umanistico si fondono in modo unico.

Immagine16La robotica educativa, dunque, può rappresentare un ambiente di apprendimento per tutte le discipline, per una formazione completa e valida per le aspettative dei lavori del futuro. Il motto è: “non subire la tecnologia ma conoscerla e dominarla”. Un esigenza quanto mai impellente se si considera che un numero sempre pi crescente di ragazzi ha avuto in mano, sin dalla tenera età , strumenti tecnologici il cui uso fobico e compulsivo provoca seri danni psicologici. E non è solo una questione formativa quella di avvicinare i più piccoli in maniera consapevole ai dispositivi che scandiranno la loro vita di adolescenti ed adulti.

Nel futuro prossimo 9 lavori su 10 richiederanno competenze digitali. Quasi la metà dei posti di lavoro sarà interamente svolta dalle macchine, milioni di posti andranno persi, ma ne cresceranno nuovi e altamente qualificati che richiederanno competenze articolate e complesse.

Sarà importante un approccio creativo che permetta di analizzare un problema da diversi punti di vista cogliendone una giusta visione d’insieme ma al tempo stesso riconoscendone le diverse parti e le giuste relazioni fra esse. Ecco perché sarà sempre più importante possedere le competenze digitali insieme a quelle letterarie, linguistiche e umanistiche. Perché anche i più piccoli dovrebbero studiare l’informatica?

Non certo perché tutti un domani lavoreranno in quell’ambito, ma perché il ragionamento procedurale, il pensiero computazionale, l’abitudine al problem solving, rappresentano, come dice Enrico Nardelli (responsabile del CINI), quel “ sedimento concettuale” che resta quando gli aspetti tecnici sono stati dimenticati e che sarà utile e prezioso per affrontare le nuove sfide del futuro.
A questo punto una domanda è d’obbligo.

Ma in un futuro prossimo pervaso dai robot e dall’intelligenza artificiale quale sarà il ruolo umano?

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Forse sarebbe utile uscire dalla dicotomia delle interpretazioni sulla distruzione dei posti di lavoro e la creazione di nuovi da parte dell’automazione. Secondo David Autor occorre superare tanto la tesi pessimistica che le nuove tecnologie aumentano la disoccupazione quanto quella ottimistica secondo cui i posti di lavoro saranno di più di quelli distrutti. Ciò che si ignora, infatti, è l’importanza della cosiddetta “conoscenza tacita”, ossia quella che deriva dall’esperienza. Infatti, non saranno mai sostituiti interamente ed efficacemente dalle macchine e dal software sia i lavori che richiedono conoscenze complesse e elevate abilità intellettive, sia quelli che richiedono adattamento, manualità e creatività. Certo la sfida è già da adesso ben ardua se si pensa a quanto le macchine si stiano avvicinando alla “conoscenza tacita” con gli studi sul “deep learning” e su come apprendere dagli esempi, accumulando conoscenza dall’esperienza.

La soluzione forse consiste nell’andare verso una cultura digitale sempre più diffusa, una rappresentazione della conoscenza non più lineare ma reticolare condizioni imprescindibili per affrontare la complessità dei problemi e le trasformazioni del mondo del lavoro. Tali trasformazioni richiedono interventi decisi e compatti da parte non soltanto degli addetti ai lavori ma anche di coloro che, in ambito politico e sociale, dovranno adoperarsi per abbattere le possibili conseguenze negative di una società ipertecnologica (il divario di genere, le diseguaglianze sociali, l’alienazione del controllo dei ritmi di lavoro attraverso un algoritmo), contribuendo al miglioramento della qualità della vita di tutti e di un benessere diffuso.

Claudia Cremonesi

a cura di

Eleonora Converti

docente di Sistemi Automatici e Telecomunicazioni presso
l’ITIS “E. Fermi” di Castrovillari

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