Scienze ed altri saperi

Il Reologo, questo sconosciuto. Parte II

Il Reologo, questo sconosciuto. Parte II

Abstract - Nello scorso numero era stata introdotta, in linee generali, la definizione di Reologia e dell’ambito sperimentale in cui può essere applicata. In questo breve articolo vengono riprese alcune nozioni fondamentali relative alle classiche definizioni dei termini solido e liquido, ai loro limiti, e a vari tentativi di superamento delle stesse. Infine, verranno illustrati i principi di funzionamento dei reometri, gli strumenti preposti alla misura delle proprietà dei materiali e allo studio della loro fenomenologia. 

di Oraldo Paleologo :: Ingegnere chimico - Dottore in Scienza della Vita

Quest’estate, nelle ore più tormentate dal caldo della giornata, sdraiato a mo’ di lucertola sotto il sole cocente, mi è capitato di assistere ad una scena simpatica, ma al contempo interessante, durante la quale un’ingenua bambina di sei o sette anni, per gioco, solleva la sua dolce mano nell’aria e la sbatte violentemente sull’acqua del mare. “Ahia! Papà mi sono fatta male!”. Il povero papà, cercando al contempo di consolare e catechizzare la sua bambina, le dice:” Amore, se picchi l’acqua ti fai male!”.

La bambina, alquanto perplessa, gli chiede:” Ma perché se la picchio mi faccio male, e quando nuoto no? È sempre acqua, papà!”. Di fronte a questa sferzante domanda, come quelle che Democrito avrebbe potuto rivolgere a Platone, il povero papà non seppe rispondere, e per mascherare questa sua, del tutto legittima, incapacità, fece finta di salutare un suo amico, e la bambina rimase con i suoi dubbi amletici irrisolti. In effetti la fanciulla, nella sua ingenua curiosità, aveva sollevato un problema di non poco conto e al quale non è affatto semplice trovare una soluzione, dacché la questione coinvolge diversi livelli di lettura. Un primo punto riguarda cosa si intende realmente quando si pronunciano le parole “solido” e “liquido”.

Di norma, la parola “solido” si riferisce ad un qualcosa che ha forma e volume proprio, definito, e la cui deformazione è descrivibile a partire da un riferimento ben preciso, quale può essere lo stato non deformato. Con la parola “liquido”, invece, di norma si intende un qualcosa che non ha forma e volume propri, e di conseguenza non è possibile individuare un riferimento rispetto al quale misurare la deformazione. Per citare solo qualche esempio afferente alla percezione comune, si può affermare che un diamante, una lastra di acciaio, un elastico, sono considerati come “solidi”, mentre l’acqua, la benzina, il latte, vengono considerati “liquidi”. Al solido viene associata la percezione e/o il concetto della fermezza, mentre al liquido quelle pertinenti il fluire, lo scorrere.

Queste associazioni, a prescindere se le parole seguano logicamente le idee o viceversa, ci portano a confrontarci con queste due “modalità” macroscopiche della materia in maniera molto differente. Ad esempio: un solido lo afferriamo, un liquido no; se picchiamo con la testa al muro, ci facciamo male, se accostiamo il volto all’acqua che scorre dal lavandino ogni mattina, no. Abbiamo dunque individuato un primo tassello: nel linguaggio, anello di congiunzione tra noi e il mondo, esistono due parole, solido e liquido, che ci permettono di individuare nella materia delle caratteristiche precise, e di agire conseguentemente. I concetti connessi alle parole vengono poi tradotti, in questo caso, in equazioni matematiche che costituiscono altrettanti modelli attraverso i quali collegare, qualitativamente e quantitativamente, lo sforzo necessario a far muovere e deformare un corpo con la sua deformazione o con la velocità con cui si deforma.

Pertanto, se si suppone che un corpo sia indeformabile, si avrà il modello di corpo rigido (ad esempio, il diamante); se invece si suppone che la deformazione sia misurabile a partire da un riferimento, si avrà il modello di solido elastico (una barretta di acciaio, o un elastico per capelli); infine, se si suppone che lo sforzo sia proporzionale alla velocità con cui si deforma un corpo, si avrà il modello di fluido viscoso (l’acqua che scorre in un tubo). E perché allora dare uno schiaffo sull’acqua equivale a darlo su una lastra di cemento?

Facciamo un passo avanti: e uno yogurt? Come lo definiamo, solido o liquido? E il bitume? E un dentifricio?

Qui interviene di diritto il reologo, il cui mestiere è quello di trovare equazioni di modello per materiali complessi, non ascrivibili ai classici comportamenti di solido e liquido. E ma qui si pone un altro problema. Come faccio a “nominare” un qualcosa che non è né solido né liquido, non avendo le parole atte all’uopo? La questione è che le parole sono sempre troppo poche.

D’altra parte, se non si riesce a decifrare neanche il comportamento dell’acqua, che a volte si comporta da liquido e altre da solido, evidentemente la questione afferisce a meandri conoscitivi profondi, nei quali si interfacciano questioni epistemologiche, fenomenologiche, linguistiche e fisiche. Inoltre: come trovare modelli matematici per materiali il cui comportamento non corrisponde né a quello del solido elastico né a quello del fluido viscoso? Classicamente, si cerca di risolvere il problema parlando di “viscoelasticità”, andando quindi a “sommare” il contributo elastico e quello viscoso. Ma questo pone problematiche epistemologiche e fisiche di non poco conto, la cui discussione esula dagli scopi di questa introduzione.

Questi modelli funzionano bene per alcuni materiali, quali i polimeri, meno per altri, quali gli alimenti. Ed è soprattutto nel campo alimentare che la reologia può svolgere un ruolo fondamentale per la progettazione di alimenti nuovi e funzionali. Oggigiorno, nel panorama mondiale sono emerse nuove esigenze nutrizionali, dovute a malattie dell’apparato gastrointestinale, a convinzioni etiche o religiose, alla scelta di stili di vita. Pertanto, la domanda di nuove tipologie di alimenti è in continua crescita. Si pensi ai cibi senza glutine, agli alimenti proteici e così via. Un alimento siffatto, per essere competitivo sul mercato, non può soddisfare soltanto requisiti di tipo nutrizionale, ma deve poter competere con gli alimenti tradizionali dal punto di vista sensoriale: gusto, olfatto, tatto e vista, cui corrispondono sapore, odore e consistenza. Per investigare le proprietà fisiche di un sistema alimentare, in laboratorio si usano i “reometri”.

Sono degli strumenti che permettono di studiare come un corpo si deforma, in funzione dello sforzo o della velocità di deformazione imposta. Al primo caso corrisponde un “reometro a sforzo controllato”, nel quale si impone la forza e si misura la deformazione. Viceversa, nel secondo caso, per un “reometro a deformazione controllata”, si impone la deformazione e si calcola lo sforzo necessario per ottenerla. Un classico reometro è costituito dalle seguenti componenti: sulla parte inferiore vi è un piatto, su cui si adagia il materiale da studiare; nella parte superiore, la testa del reometro, è possibile posizionare un componente metallico (avente geometria differente a seconda delle caratteristiche del materiale) e attraverso un braccio meccanico si fa scendere tale componente in prossimità del piatto inferiore in modo da confinare il materiale in uno spazio ristretto, di pochi millimetri di spessore.

Nella parte superiore (o inferiore), è presente un trasduttore, componente fondamentale capace di trasformare impulsi elettrici in impulsi meccanici, consentendo così la misurazione delle proprietà del materiale. Attraverso un software, si possono impostare le condizioni e la tipologia di misura da effettuare. Di norma, ad un reometro è allegato un sistema “peltier”, che consente di controllare la temperatura del materiale e di poter quindi studiare il comportamento del materiale a diverse temperature, o di impostare una rampa termica e investigare la fenomenologia del materiale durante un trattamento termico.

Il software restituisce infine i valori numerici dei parametri materiali di interesse, come ad esempio il modulo elastico, il modulo viscoso, la viscosità etc. Pertanto, è possibile confrontare le caratteristiche reologiche di un alimento convenzionale con quelle di un prodotto innovativo, e di poter progettare (letteralmente) le proprietà di quest’ultimo al fine di renderlo appetibile sul mercato.

Si tratta quindi di un contributo fondamentale, quello offerto dalla reologia, per far sì che le persone si indirizzino verso alimenti salutari e funzionali, senza rinunciare al sapore e alla fruibilità di un cibo tradizionale, componente importante per il benessere mentale e fisico!

Ma, quindi, perché se do uno schiaffo all’acqua mi faccio male, e se mi lavo le mani, no? Un indizio: è una questione di tempo!

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