Lavoro e sicurezza

Robotica collaborativa

Robotica collaborativa

Abstract - In questo articolo si parlerà di robotica collaborativa specificando i possibili scenari futuri, gli studi del settore e il loro stato di avanzamento, i rischi che potrebbero sorgere nei prossimi anni soprattutto nel campo della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Si tratta di un tema particolarmente delicato oggetto anche di una specifica standardizzazione da parte della ISO.

* Ingegnere  esperto in sicurezza sul lavoro

C’era una volta un ragazzotto universitario in preda all’ansia da esame, studente di ingegneria al primo anno di specialistica ed un docente di robotica industriale, genio assoluto della materia con il classico phisique du rôle consolidato dalla convenzione (capelli incolti, abbigliamento discretamente trasandato, ufficio olezzante di tabacco e caffè ecc.).

L’esame consta nella modellizzazione e poi nella programmazione di un piccolo movimento di un end effector di un robot da laboratorio: si tratta di spostare un oggetto sferico da un punto A ad un punto B. Il docente, dopo aver esaminato il giovane per un’oretta circa, dopo averlo promosso, gli pone una domanda: “Mi dica: lei che futuro vede in tema di diavolerie del genere?”. Per chi ancora non l’avesse capito si tratta di un racconto autobiografico e posso assicurarvi che quella fu la domanda più tosta di tutto l’esame anche se era esterna ad ogni valutazione. Tuttavia, e chi l’ha vissuto sa benissimo, la fase successiva al superamento dell’esame è caratterizzata da una strana euforia, una scarica di adrenalina che ti rende più sfacciato, con quel mix di felicità e menefreghismo piacevole in alcuni contesti come quello. Fu esattamente quella condizione che rese il discorso surreale:

  • Professore, secondo me un domani noi finiremo a guardare questi attrezzi che faranno tutto al posto nostro. Magari cresceranno i lavori come il suo ma caleranno quelli meno qualificati e la cosa non mi piace per nulla.

Il prof fece una leggera smorfia col viso, di quelle che faceva prima di bocciare (un movimento delle sopracciglia che nessuno era in grado di imitare), e disse:

  • Si segni questo termine: robotica collaborativa. Non le spiego di cosa si tratta, approfondisca lei”.
  • “Veramente professore ho paura che un domani, se non si sta attenti, anche noi saremo sostituiti da questi amici di latta”.
  • “Si, lo diceva anche mio nonno quando gli feci vedere il primo PC. Eppure siamo qui io e lei a fare un esame e di fronte a lei non c’è un programma, ci sono io in carne ed ossa. Lei pensa che una macchina avrebbe potuto esaminarla meglio di me?”.

Domanda a trabocchetto, pensai. Ancora doveva firmare il libretto degli esami per cui non ebbi esitazione a rispondere, mentendo come neanche Paolo Villaggio avrebbe saputo illustrare nei suoi dipendenti fantozziani:

  • No, assolutamente”.
  • “Ora vada perché ho altri suoi colleghi da esaminare.

Per molto tempo quel termine continuò a girovagare per la mia testa. Robotica collaborativa, che sarà mai? Qualche mese fa, nel corso di una videoconferenza con alcuni colleghi, quel concetto affiorò quando uno dei tecnici iniziò a parlare della convivenza dei robot con i lavoratori e di quanto sia necessario mettere in campo delle misure di tutela per la loro salute e sicurezza da quelli che potrebbero essere azioni abnormi da parte di una macchina. Proust avrebbe chiamato quel richiamo memoria involontaria come l’arcinota madeleine che tutti quanti avranno sentito nel corso dei loro studi. Cerchiamo allora di vedere insieme cosa è la robotica collaborativa e quali implicazioni potrebbe avere sul lavoratore e con ciò dare merito al docente dell’incipit che non si ricorderà neanche della mia faccia, figurarsi del dialogo.

Con “robotica collaborativa” ci si riferisce a quei sistemi robotici di nuova generazione che sono in grado di interagire fisicamente e in sicurezza con l’uomo e di condividerne lo spazio, non rimanendo pertanto più confinati in una “gabbia” che separa lo spazio dell’uomo da quello del robot. “Fisicamente” e “in sicurezza” sono i due punti sui quali insiste il mio lavoro quotidiano e quello dei tanti colleghi ingegneri della sicurezza. Quando possiamo dire che due soggetti, macchine o umani oramai stiamo imparando a non fare differenza, condividono uno spazio “in sicurezza”? Diciamo subito che la condivisione dell’ambiente di azione, altrimenti detta interferenza, non è solo di tipo spaziale ma anche temporale. Un cantiere nel quale agiscono, anche in due momenti differenti, due soggetti afferenti ad aziende diverse, hanno il potenziale di interferire. Facciamo un esempio: nella costruzione di un edificio interviene una ditta per l’intonacatura interna, finisce il lavoro e va via. Il giorno seguente l’elettricista va sullo stesso posto per posare dei cavi o un quadro. L’azione del primo soggetto modificherà lo stato dei luoghi, gli operai potrebbero ad esempio lasciare detriti o materiale che andrebbero a introdurre altri rischi dei quali il secondo soggetto deve essere informato per azionare le misure di prevenzione e protezione adeguate. Questa parte è molto importante perché, mentre si comprende facilmente l’interferenza spaziale (due soggetti diversi sullo stesso posto), quella temporale (due soggetti sullo stesso posto non contemporaneamente) è molto trascurata. Dicevamo dunque: convivenza in sicurezza. L’interazione uomo-macchina, detta in termini anglosassoni Physical Human-Robot Interaction (PhHRI), richiede che il robot abbia la comprensione di 2 fattori:

  1. l’ambiente nel quale agisce insieme all’essere umano;
  2. la previsione dell’intenzione umana.

Il secondo aspetto è un po’ inquietante. Può mai una intelligenza artificiale avere una modello predittivo sull’agire umano? In che modo questo potrebbe essere usato contro l’uomo? La risposta alla prima domanda è “si, certamente” e ne sono esempi le note sfide a scacchi che le IA hanno intavolato con successo contro le intelligenze umane. Proprio queste si basano esattamente sulla previsione delle mosse dell’avversario. Riguardo alla seconda potremmo richiamarci ai principi base di un robot che furono teorizzate anni fa dal pioniere Isaac Asimov del quale abbiamo parlato tanto su queste pagine e che si basano sull’importanza di una macchina di rimanere fedele agli ordini impartiti dall’essere umano e di inibire ogni possibile azione lesiva nei confronti di quest’ultimo. Si viene a costituire un binomio uomo-robot che operando insieme beneficiano mutuamente dell’azione coordinata di entrambi. In un tale contesto la macchina solleva l’uomo dalle azioni gravose e abbiamo già visto in precedenti articoli alcuni casi come quello degli esoscheletri e, contemporaneamente, beneficiare delle abilità dell’uomo stesso prevedendo e risolvendo in anticipo situazioni imprecise, modellando la propria azione (campo di azioni) per rendergli la vita più facile.

È chiaro che progettare un cantiere o un luogo di lavoro in generale con questi termini prevede un cambio di paradigma che, se fatto bene, e qui interviene il lavoro di un ingegnere per la sicurezza, conduce a importanti migliorie per quanto riguarda ad esempio la sostenibilità, la resilienza e la centratura sull’uomo di un sistema del genere. “L’uomo al centro” è il motto della nostra rivista e della sensibilizzazione quotidiana che cerchiamo di apportare, ma è anche quello che ogni legge ben fatta ed ogni azione seria dovrebbe possedere senza alcun ragionevole dubbio. Usare la tecnologia per dare valore all’uomo. L’idea molto interessante, sostenuta dalla comunità scientifica, è quella di consentire una collaborazione proattiva con trasferimento di capacità tra esseri umani e robot con una sorta di mutuo miglioramento che potrebbe (condizionale d’obbligo) rendere la prossima generazione degli automi con maggiore capacità di azione e con minore necessità di supervisione umana oltre che con capacità cognitive, sociali e tecniche efficienti sempre e solo con l’unico fine di assistere ed interagire in sicurezza con l’essere umano. Questa non è la concezione di un singolo esperto. Si tratta della visione della IFR – International Federation of Robotics che nel suo position paper sul potenziale impatto della robotica sul monto del lavoro prevede la creazione di nuove competenze per agire sulla parte immateriale del confronto tra le due realtà che, dovremo abituarci, a veder coesistere per il futuro lasciando magari da parte ogni dubbio.

Senza che ce ne accorgessimo, negli ultimi anni la robotica collaborativa è entrata a pieno titolo in diverse aziende divenendo anche oggetto di uno standard specifico da parte della ISO. Si tratta dello standard ISO/TS 15066, che definisce i requisiti di sicurezza della robotica collaborativa. Come abbiamo sempre detto la quarta rivoluzione industriale rappresenta l’evoluzione dell’industria verso un modello intelligente in cui robotica (collaborativa), interfaccia uomo/macchina, digitalizzazione, big data e artificial intelligence sono messe nello stesso calderone e fuse insieme per dare un prodotto unico: un sistema lavorativo che da un lato riduce i rischi e gli infortuni sul lavoro (a proposito: anno terribile il 2021!) e dall’altro preserva la centralità dell’uomo in maniera sicura e permettendo scambi proficui.  Alla robotica collaborativa si riconoscono alcuni innegabili meriti: velocizza i processi industriali più ripetitivi, è flessibile, è sicura ed è di facile utilizzo, non richiede infatti conoscenze di programmazione approfondite. Inoltre, diversamente da quanto si sarebbe portati a pensare, comporta investimenti tutto sommato sostenibili.

La cosa più importante è tenere separati i 2 universi. Le macchine sono macchine, gli uomini sono uomini. Le prime sono soggette a obsolescenza, i secondi no. Almeno si spera.

BIBLIOGRAFIA

https://www.agendadigitale.eu/industry-4-0/robotica-collaborativa-perche-e-la-chiave-per-lindustria-5-0/

https://www.sick.com/it/it/robotica-collaborativa-la-rivoluzione-dellindustria-40/w/blog-it-robotica-collaborativa/

RIFERIMENTI

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