Sicurezza Informatica

Il fenomeno del grooming: tutela legale e prevenzione

Il fenomeno del grooming: tutela legale e prevenzione

Abstract

I ragazzi di oggi sono sempre più esposti ai “rischi del web” intendendo con questo termine il fenomeno per cui stando on line per gran parte del proprio tempo, si corre il pericolo di diventare vittime di vere e proprie aggressioni o di reati.

Uno dei pericoli più diffusi ma anche poco conosciuti è il termine “grooming”, dal verbo "to groom", governare, avere curare, con il quale si vuole intendere la tecnica usata dai pedofili per entrare in contatto con i propri interlocutori.

Attraverso dialoghi in chat, forum, via sms, tramite social network o giochi di ruolo, i potenziali abusanti costruiscono un legame di fiducia con il minore, che viene indotto ad accettare più facilmente un incontro o a dare informazioni sulla propria vita personale: indirizzo di residenza, numero di telefono, luoghi frequentati.

L’adescamento ha inizio nel momento in cui l’adulto mostra particolare interesse nei confronti del minore per instaurare un solido legame di fiducia.

Questa dinamica inizia con l’adulto che, mentendo sulla propria età, propone alle vittime conversazioni su temi di loro interesse (sport, giochi, scuola).

L’adulto presta attenzione ai racconti del minore, è premuroso e si dichiara suo grande amico, il processo di manipolazione per ottenere la totale fiducia del minore può durare diverso tempo.

Gradatamente l’adulto ricerca un contatto sempre più intimo e privato fino alla manifestazione dell’abuso e per ottenere il silenzio si arriva al ricatto di mostrare le immagini o il contenuto delle conversazioni a genitori, amici, o diffonderle su internet.

In letteratura si è soliti distinguere diverse fasi del grooming, in particolare se ne individuano ben cinque, così di seguito articolate: la prima fase è quella della realizzazione del rapporto di amicizia, la seconda è quella della creazione del rapporto di fiducia, la terza fase è, invece, quella della valutazione del rischio in cui il predatore studia bene le abitudini della vittima nonché il grado di “assenza” dei genitori, la quarta è quella dell’isolamento della vittima dal suo contesto familiare attraverso la creazione del c.d. rapporto esclusivo, la quinta è quella del ricatto sessuale vero e proprio fatta di conversazioni sessualmente esplicite, ricatti e richieste di invio di materiale pornografico.

Per contrastare il fenomeno dell’adescamento online, la legge 1 ottobre 2012 n.172 di ratifica della Convenzione di Lanzarote, prevede l’introduzione del nuovo reato di “adescamento di minorenni” (art. 609-undecies del codice penale).

Questa nuova fattispecie di reato consiste in “qualsiasi atto volto a carpire la fiducia di un minore di 16 anni attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione allo scopo di commettere uno dei reati sessuali contro i minori previsti dalla legge”.

La pena prevista per chi si macchia di questo reato è la reclusione da 1 a 3 anni.

Inoltre, il  decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 39, inasprisce le pene già previste e dispone l’introduzione di nuove circostanze aggravanti, rendendo così più facile contrastare i reati sessuali a danno dei minori, tra cui proprio i nuovi fenomeni relativi a Internet come l'adescamento di minori e la visualizzazione di materiale pedopornografico tramite webcam o in Internet.

Il reato si configura anche se l’incontro con il minore non avviene: non è necessario, infatti, che l’adescamento vada a buon fine, ma è sufficiente il tentativo, da parte di un adulto, di conquistare la fiducia di un bambino o di un adolescente per fini sessuali.

Accanto alla tutela normativa è necessario attuare, anche in tale ambito, un’ampia prevenzione poiché, come spesso accade con i pericoli del web la legge interviene quando ormai le conseguenze dannose si sono già prodotte e in questo caso esse hanno la veste di conseguenze molto dure per le vittime.

Esse soffrono, infatti, in molti casi di disistima, tendenza ad isolarsi, disturbo post traumatico da stress, episodi di autolesionismo e suicidio, nei casi più gravi.

In alcuni casi le perversioni dei predatori sessuali del web possono essere favorite da alcuni comportamenti rischiosi tenuti inconsapevolmente anche dai genitori dei minori.

Molti genitori, ad esempio, hanno l’abitudine di pubblicare foto, proprie o dei propri figli, rappresentanti svariati momenti, anche intimi, della giornata.

La prassi di condividere o di postare foto dei propri figli, specie se minori, è deprecabile poiché le foto potrebbero finire in un deep web frequentato da pedofili o persone che potrebbero utilizzare queste immagini per produrre materiale pedo-pornografico.

Alcuni dei più importanti social network si stanno dotando di apposite funzioni che consentono di limitare l’accesso a tali foto solo a determinati contatti individuati dai genitori, tuttavia, per quante accortezze si possano attuare il comportamento preferibile consiste nell’esimersi dal condividere o pubblicare foto di minori, specie se molto piccoli.

Questa impostazione sembra essere condivisa anche dalla più recente giurisprudenza: in alcune pronunce i giudici, hanno definito come “pericolosa” l’abitudine di pubblicare foto di minori e, pertanto, perché ciò accada necessita il consenso di entrambi i genitori.

Più clamorosi alcuni casi avvenuti in Europa (Francia, Germania, Austria, ecc.) dove alcuni figli, raggiunta la maggiore età hanno chiesto il risarcimento per i danni ai propri genitori per le foto da questi pubblicate quando erano minori.

Partendo dalla pronuncia emessa dal Tribunale di Mantova,  viene ribadito il concetto secondo il quale la mera pubblicazione delle foto dei minori sui social è un atto di per sé pregiudizievole.

Nella fattispecie in questione, alla madre è stato intimato di non postare più alcuna immagine dei bambini e, in aggiunta, le è stato richiesto un risarcimento danni per le foto già postate.

Ne deriva che i genitori, senza il reciproco consenso, non potranno più postare sui social network le immagini della prole.

La pronuncia in esame risulta di illuminante importanza per tutto ciò che ruota attorno alla sfera di tutela della privacy di soggetti che, in quanto minori, non avrebbero, altrimenti, alcun genere di strumenti giuridici a disposizione per preservarsi da azioni talvolta deplorevoli (si pensi ad es. ai non infrequenti casi in cui, attraverso dei fotomontaggi, i volti dei piccoli vengono manipolati per diffondere materiale pedo-pornografico in Rete).

Il provvedimento mantovano rispetta il nuovo Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali, il quale prevede un canale di tutela preferenziale del minore rispetto all’adulto.

La legge, dunque, non basta da sola, al contrario occorre un nuovo concetto di educazione alla sessualità che coinvolga tanto i genitori quanto i ragazzi.

In particolare per prevenire il grooming si raccomanda agli adolescenti di difendere la propria intimità sul web, contribuendo a creare a livello sociale un nuovo concetto di pudore e di senso di vergogna, difendere il proprio corpo, imparare a rispettare la dignità propria e altrui, non fidarsi di chi vuole sapere troppe cose, ricordare sempre che è più facile mentire quando si è on line, non dare informazioni intime o confidenziali, non incontrare qualcuno che si è conosciuto tramite rete, parlare sempre con un adulto di fiducia, se necessario.

In particolare, poi, i genitori della possibile vittima devono: prendere molto seriamente le paure del figlio/a e i cambiamenti di umore, rassicurarlo, fare capire che non è solo, parlare con gli insegnanti per cercare di mettere in guardia da emulazioni o recidive, salvare il materiale prodotto (es.: mail, chat, filmati, ecc.) e consegnarlo alle autorità competenti.

I genitori devono, poi, informarsi sul mondo dei social network, ovvero opportunità e insidie delle piattaforme on line, aggiornarsi sull’esistenza dei principali pericoli del web, ricordando sempre che tali pericoli sono in continua evoluzione e naturalmente evitando di diventare loro stessi delle vittime.

Claudia Ambrosio - Avvocato - Criminologa

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