Scienze ed altri saperi

L’industria 4.0: la valorizzazione del capitale umano

L’industria 4.0: la valorizzazione del capitale umano

Finora le rivoluzioni industriali del mondo occidentale sono state tre: nel 1784 con la nascita della macchina a vapore che ha permesso la meccanizzazione della produzione; nel 1870 con il via alla produzione di massa attraverso l’uso sempre più diffuso dell’elettricità, l’avvento del motore a scoppio e l’aumento dell’utilizzo del petrolio come nuova fonte energetica; nel 1970 con la nascita dell’informatica, dalla quale è scaturita l’era digitale destinata ad incrementare i livelli di automazione avvalendosi di sistemi elettronici e dell’IT (Information Technology).

Quando tuttavia si parla di Industria 4.0 si intende, pertanto, l’avvento della quarta rivoluzione industriale, tutt’ora in corso, che è rappresentata da un modello di produzione e gestione aziendale basato essenzialmente sull’uso di nuove tecnologie digitali all’interno delle imprese. Secondo una definizione che ne dà il Mise, gli elementi che caratterizzano il fenomeno sono: “connessione tra sistemi fisici e digitali, analisi complesse attraverso Big Data e adattamenti real-time”. In altre parole: utilizzo di macchinari connessi al Web, analisi delle informazioni ricavate della Rete e possibilità di una gestione più flessibile del ciclo produttivo. Le tecnologie abilitanti, citate sempre dal Mise, spaziano dalle stampanti 3D ai robot programmati per determinate funzioni, passando per la gestione di dati in cloud e l’analisi dei dati per rilevare debolezze e punti di forza della produzione. L’industria 4.0 passa per il concetto di Smart Factory che si compone di 3 parti:

Smart production: nuove tecnologie produttive che creano collaborazione tra tutti gli elementi presenti nella produzione, ovvero: collaborazione tra operatore, macchine e strumenti. 


Smart Services: tutte le “infrastrutture informatiche” e tecniche che permettono di integrare i sistemi; ma anche, tutte le strutture che permettono, in modo collaborativo, di integrare le aziende (fornitore – cliente) tra loro e con le strutture esterne (strade, hub, gestione dei rifiuti, ecc.) 


Smart Energy:  tutto questo sempre con un occhio attento ai consumi energetici, creando sistemi più performanti e riducendo gli sprechi di energia secondo i paradigmi tipici dell'Energia sostenibile. 
Il cambiamento che stiamo vivendo ha una portata epocale. L’innovazione, specialmente in un tempo in cui tecnologie rivoluzionarie stanno penetrando sempre più la vita quotidiana, viene quindi vista spesso con diffidenza. Le innovazioni dell’industria 4.0 poiché incentrate sull’automazione e sulla riduzione del contributo umano, sembrerebbero condurre ad una inesorabile riduzione dei posti di lavoro. Tuttavia alle aziende serviranno delle figure specializzate in grado di fare consulenza e di gestire l’interazione tra le nuove tecnologie e il capitale umano dell’impresa. Senza dimenticare i posti di lavoro che si creeranno per gli esperti di sicurezza informatica a livello aziendale. Privacy, protezione dei dati e del personale saranno sempre più importanti e porteranno le aziende a investire sempre di più. D’altro canto restare al palo nella corsa all’innovazione è un rischio che, in un mondo che si evolve con ritmi sempre più serrati e nelle direzioni più varie, le imprese italiane, e ancor più le imprese del mezzogiorno, non possono permettersi di correre. La prospettiva con cui questa trasformazione deve essere vista non è dunque quella di una malsana rivoluzione che porterà alla scomparsa del lavoro umano e lo renderà definitivamente inutile, bensì come un’opportunità di rivalorizzazione del lavoro stesso: sarà la stessa disponibilità di lavoro umano generata dalla scomparsa dei vecchi mestieri a stimolare la capacità di crearne di nuovi. Tutti i grandi cambiamenti tecnologici avvenuti nel passato hanno suscitato perplessità e preoccupazioni sull’impatto che le macchine e i processi di automazione hanno sull’uomo. Le posizioni più scettiche sul tema del rapporto tra industria 4.0 e lavoro umano mettono in luce gli aspetti negativi di questo cambiamento paradigmatico soprattutto con riferimento alla preoccupazione che, l’innovazione dirompente comporti nuove forme di alienazione e nuove forme di disoccupazione tecnologica. Tuttavia, le aziende di oggi, operanti in mercati sempre più turbolenti e in rapido cambiamento, hanno ancora bisogno dell’apporto umano. Se nella vecchia fabbrica l’operaio svolgeva le sue mansioni in maniera noiosa, ripetitiva e parcellizzata, l’azienda di oggi, la fabbrica 4.0, richiede che i lavoratori siano propositivi, partecipativi e coinvolti. I lavoratori di oggi, grazie alle nuove sfide innovative, non vedono ridurre il proprio apporto all’interno dell’azienda, anzi, vedono crescere le proprie mansioni e le proprie responsabilità svolgendo compiti sempre più creativi e interessanti. La quarta rivoluzione industriale non si renderà responsabile del declino del lavoro umano ma darà ad esso nuova luce e nuova linfa creando lavoratori ancora più abili e più capaci: non solo industria 4.0 ma anche lavoratori 4.0. In questo nuovo panorama tecnologico risulta sicuramente fondamentale la formazione dei nuovi professionisti. Occorre pertanto potenziare il legame tra mondo dell’istruzione, università , ricerca e impresa per creare profili coerenti con ciò che il mercato richiede. L’aggiornamento, il rafforzamento, l’adeguamento dei dipendenti per riqualificare diverse professionalità e ridisegnare modalità lavorative deve essere il punto di partenza delle imprese che vogliono vincere la partita della nuova rivoluzione industriale. Formazione continua e costante per fornire competenze  che procedano di pari passo con i cambiamenti della fabbrica intelligente. Una trasformazione che deve riguardare tutti i livelli aziendali, dall’imprenditore all’impiegato, dall’operaio al manager. Accanto alle competenze digitali, alla capacità di lavorare con i dati , saperli leggere, analizzare e classificarli imprescindibili sono le skill comunicative, di creatività, di leadership, di relazione. Le scuole hanno infatti iniziato ad adattarsi alla nuova realtà creando percorsi di alternanza “scuola-lavoro”. Occorre infatti promuovere nella scuola e nel mondo del lavoro il concetto di competenze che devono avviarsi nel contesto scolastico e poi crescere e arricchirsi durante tutta la vita attraverso un apprendimento continuo consentendo di seguire e partecipare ai cicli di continuo cambiamento tecnologico, economico e sociale che caratterizzano sempre più l’evoluzione delle attività lavorative e le condizioni di vita di ciascuno.

Va in particolare sottolineata l’importanza che negli istituti tecnici e nei licei si sviluppino orientamenti verso l’ottenimento di competenze certificate che consentano una effettiva employability dei giovani aprendo le porte al lavoro 4.0, in grado di affrontare la grande sfida della diffusione delle tecnologie digitali in tutte le attività.

Tuttavia non bisogna pensare che l’avvicinamento dei percorsi formativi alle esigenze professionali del lavoro significa cambiare la missione centrale tradizionale della scuola nella formazione culturale e civile dei giovani, ma affiancare ad essa anche la preparazione ad attività professionali, soprattutto oggi in cui le tecnologie digitali e l’intelligenza artificiale consentono di aprire strade nuove alla creatività ed al lavoro di ciascuno.

La scuola deve pertanto rappresentare l’ambiente nel quale l’innovazione prende vita, partendo dalla didattica digitale che deve essere diffusa su tutto il territorio, evitando che si creino ‘periferie’ altrimenti destinate ad essere marginalizzate rispetto alla nuova economia digitale.

Bruno Meta

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