Scienze ed altri saperi

Il ruolo della didattica laboratoriale nell'insegnamento/apprendimento delle scienze

Il ruolo della didattica laboratoriale nell'insegnamento/apprendimento delle scienze

1.1 Introduzione

L’utilizzo della metodologia per progetti nella didattica delle scienze rappresenta, nel percorso formativo degli studenti della scuola media superiore italiana, una modalità per ritrovarsi davanti situazioni reali da studiare, uno stimolo a trovare strategie idonee per individuare soluzioni pratiche e ottenere un risultato finale.

Il suo utilizzo negli istituti tecnici e professionali rispettivamente nell’area di Progetto e nella Terza Area ha consentito, a partire dagli anni novanta, di sperimentare significativi percorsi curricolari in una prospettiva interdisciplinare e in collaborazione con istituzioni e imprese esterne alle scuole.

Una scelta che trova conferma nell’attuale normativa di riferimento che postula l’esigenza di utilizzare “gli strumenti didattici per la realizzazione dei percorsi di studio”, “percorsi che si sviluppano soprattutto attraverso metodologie basate su: la didattica di laboratorio, anche per valorizzare stili di apprendimento induttivi; l’orientamento progressivo, l’analisi e la soluzione dei problemi relativi al settore produttivo di riferimento” e diventano “specifiche modalità per l’approfondimento delle conoscenze, delle abilità e delle competenze richieste per l’accesso ai relativi corsi di studio e per l’inserimento nel mondo del lavoro” e si concretizzano nell’alternanza scuola-lavoro, “attraverso l’attivazione di moduli e di iniziative di studio-lavoro per progetti, di esperienze pratiche e di tirocinio”.

Seguire progetti di questo tipo richiede scelte progettuali intenzionali: spazi, tempi e setting diversi da quelli che si ritrovano tradizionalmente all’interno dell’organizzazione scolastica. Ma è un’esperienza forte, importante sul piano dell’apprendimento, in quanto consente agli studenti di caricare su di loro quella responsabilità di lavorare in gruppo, che si traduce anche in uno sforzo operativo maggiore sul piano individuale. Inoltre la possibilità concreta di offrire soluzioni tecniche garantisce un positivo rapporto con le tecnologie informatiche, fonte inesauribile dove attingere per le conoscenze indispensabili, per realizzare e presentare i loro lavori con applicativi specifici per la divulgazione delle loro esperienze.

Questo tipo di esperienza permette, in qualche modo, di recuperare innanzitutto la competenza tecnica, in parte scomparsa nella maggioranza degli studenti alla fine del percorso formativo scolastico, ma anche un insegnamento scientifico problematico, critico, perché appare evidente a tutti, oramai, che l’acquisizione delle più importanti nozioni  scientifiche è possibile con un insegnamento che non ha più il suo fondamento nella manualistica tradizionale. Più in generale le competenze (vedi Figura 1) comportano un sapere “generativo di nuove conoscenze” (sapere), conoscenze che si applicano in contesti specifici (saper fare), che si confrontano con le proprie capacità di accettare la sfida (saper essere), fino a conoscere il processo che dimostra il proprio “saper agire” (saper imparare).


Figura 1 Le competenze

 

Progettare per competenze significa far uso della didattica laboratoriale dove il laboratorio è il luogo rappresentativo dell’incontro tra “imparare a ricercare” e “imparare a imparare” attraverso l’esperimento e/o l’esperienza. Il primo è per antonomasia “un processo chiuso all’imprevisto” “basato sul canone della riproducibilità”, mentre la seconda è “un processo aperto all’imprevisto prevedibile”. In quest’ottica è possibile instaurare un processo dinamico reversibile che consente di passare dall’esperimento all’esperienza e viceversa. Nel primo caso si allargano i confini dell’esperimento o si sottopone a un’analisi critica ogni sua fase, nel secondo invece si ha la possibilità di individuare la migliore delle possibili soluzioni riproducibili. In ogni caso la didattica laboratoriale offre la possibilità allo studente, in ognuna delle situazioni prospettate, “i percorsi metodologici di cui saprà rendere conto agli altri”.

 

1.2 Le dimensioni dell’educazione scientifica

Nei paesi dove il sistema formativo contempla come ultimo anno della scuola secondaria il grado 12 (K12) si raccomanda che l'educazione scientifica sia costruita intorno a tre importanti dimensioni (vedi Tabella 1 per i dettagli di ogni dimensione).

Tab.1 Le tre dimensioni dell’educazione scientifica

 

Queste dimensioni sono:

  1. Le pratiche scientifiche e tecnologiche;
  2. I concetti trasversali che uniscono lo studio della scienza e della tecnologia attraverso la loro applicazione comune;
  3. Le idee di base nelle quattro aree disciplinari:
  • Scienze fisiche;
  • Scienze della vita;
  • Scienze della terra e spaziali;
  • Ingegneria, tecnologia e applicazioni della

Le tre dimensioni esprimono le tre sfere di attività presenti nella pratica scientifica e tecnologica. Nella prima sfera l’attività dominante è l’indagine e la ricerca empirica, nella seconda l’essenza del lavoro è lo sviluppo di costruzione di spiegazione e soluzioni facendo leva sul ragionamento logico, sul pensiero creativo, sullo sviluppo di modelli; nella terza l’affermazione di idee che sono frutto di analisi, dibattito e valutazione.

Nella figura 2 è evidenziato il lavoro svolto nelle tre attività.

Alla sinistra della figura 2 ci sono le attività relative all’area dell’investigazione. Qui si

Fig. 2 Attività presenti nella pratica scientifica e tecnologica

 

determina che cosa è necessario misurare, i fenomeni osservati, gli esperimenti da pianificare, la modalità di raccolta dei dati sperimentali, gli strumenti da coinvolgere e/o da costruire, l’identificazione delle fonti di incertezza. Sul lato destro della figura 1 invece ci sono le attività relative alle spiegazioni da sviluppare e le soluzioni da trovare. In quest’area bisogna tracciare gli ambiti derivati da teorie o modelli o proporre estensioni della teoria o nuovi modelli. Tra le due sfere di attività c’è la valutazione. Qui è necessario il pensiero critico quando si richiede lo sviluppo di un’idea, una spiegazione o l’individuazione di una soluzione. Le attività più importanti sono, pertanto, l’argomentazione e la critica, che spesso conducono a ulteriori esperimenti e osservazioni o a cambiamenti nei modelli proposti, nelle spiegazioni ecc.. La funzione della figura 2 è dunque, semplicemente, quella di offrire uno schema che possa aiutare a identificare, la funzione, il significato, l’intervallo e la diversità delle pratiche coinvolte nel lavoro di chi fa scienza.

Nel curriculum di un percorso formativo rivolto alle scienze sono perciò individuabili una serie di pratiche indispensabili:

  1. Fare domande (per la scienza) e definire i problemi (per la tecnologia);
  2. Sviluppare e usare modelli;
  3. Pianificare e condurre investigazioni;
  4. Analizzare e interpretare i dati;
  5. Usare la matematica e il pensiero computazionale;
  6. Costruire spiegazioni (per la scienza) e disegnare soluzioni (per la tecnologia);
  7. Discutere l’evidenza delle prove;
  8. Ottenere, valutare e comunicare

1.3 Strategie per una didattica laboratoriale

Il rinnovamento del curricolo scientifico, perciò, passa non solo dall’utilizzo della tecnologia ma anche dalla messa in opera di nuove metodologie innovative come, per esempio, l’Inquiry Based Science Education (IBSE), che consente di esplorare la realtà attraverso la formulazione di domande o quesiti, la conduzione di indagini, la raccolta dei dati fino all’elaborazione e conclusione dell’analisi. Ponendo al centro dell’indagine un progetto di ricerca scientifica si formalizza il Problem solving perché si orienta verso l’analisi per giungere alla soluzione del problema. L’attuazione dell’alternanza scuola-lavoro si profila pertanto come un caso concreto.

Nel validare questo tipo di percorso è necessario comprendere:

  • un modello organizzativo che dia prova della continuità delle esperienze;
  • l’elaborazione di modelli teorici testati per esprimere la qualità delle esperienze provate e sperimentate;
  • l’applicazione di metodologie didattiche che siano in grado di valutare il rendimento degli studenti;
  • la conservazione di una raccolta dati sulle esperienze di laboratorio

Quando si parla di modello organizzativo si parla di modelli didattici con i quali programmare, classificare, valutare. Da questo punto di vista la didattica laboratoriale può sostituire la classica lezione trasmissiva, frontale, ma, perché sia efficace, è necessario trovare il collante, che stabilisca su diversi piani, la comunicazione tra il sapere (conoscenze) e il saper fare (abilità) e produca nuovi atteggiamenti (saper essere). La didattica di laboratorio può pertanto attivare processi di insegnamento-apprendimento significativi e garantire l’acquisizione di competenze disciplinari e trasversali nella totalità degli allievi.

Fino alla fine del primo decennio del nuovo secolo in quasi tutti i paesi dell’Unione europea le metodologie utilizzate dagli insegnanti di scienza sono state basata su approcci deduttivi. Parallelamente si è assistito a un lento declino dell’interesse dei giovani verso le Scienze e le Tecnologie. Questo perché c’è una forte resistenza, sia negli insegnanti nel modificare e innovare i metodi di insegnamento, sia nel perdurare di giudizi o idee sbagliate sulla scienza che contrastano con la necessità di un cambiamento concettuale.

 

Lavorare per competenze significa sviluppare un nucleo fondante disciplinare attraverso abilità e conoscenze utilizzando metodologie adeguate al raggiungimento di tali competenze e individuando i criteri adatti alla valutazione. Il modello didattico per le scienze sperimentali può essere declinato come riportato in figura 3:



Fig. 3 Modello didattico per le scienze sperimentali

 

La prova di verifica, presentata come prova di competenza, sarà successivamente valutata tramite la rubrica valutativa (vedere Figura 4) individuata per le varie competenze:


Fig. 4 Rubrica valutativa

 

Tra le tecniche che permettono allo studente di svolgere un ruolo attivo sono da considerare:

  1. le tecniche di analisi come lo Studio di caso con il quale si sviluppano le capacità analitiche e le modalità di approccio di un Questo tipo di tecnica è molto utilizzata nelle situazioni di alternanza scuola-lavoro dove lo studente è calato in una situazione reale lavorativa,
  2. le tecniche di riproduzione operativa come le Dimostrazioni e le Esercitazioni con le quali si rafforzano e si affinano le abilità operative eseguendo una procedura di cui bisogna conoscere le fasi e la successione e richiedono un monitoraggio continuo;
  3. le tecniche di produzione cooperativa come il Cooperative Learning con il quale viene esaltato il lavoro di gruppo e dunque le competenze

Con tutte e tre le tecniche proposte lo studente matura un apprendimento che è funzionale alla situazione in cui si ritrova ad apprendere. Con le tecniche d’analisi “impara dalle situazioni”; con le tecniche di riproduzione “impara sulle situazioni”, con le tecniche di produzione cooperativa “impara a modificare le situazioni”.

 

1.4 Il laboratorio come ambiente privilegiato nella didattica laboratoriale

Gli ambienti didattici che bisogna allora implementare nella scuola di questo primo scorcio del terzo millennio vanno pensati riconoscendo la centralità dello studente e adeguando una didattica da innovare, molto vicina agli sviluppi della tecnologia e alla pratica laboratoriale. Perché, come richiesto dalle recenti indicazioni ministeriali, con “laboratorio” e “laboratorialità” si vuole dare significato “a un modo di fare della scuola, non solo entro uno spazio fisico, ma come integrazione di due spazi, quello fisico e quello mentale”. Il laboratorio è pensato “sostanzialmente come un metodo, volto alla problematizzazione, alla ricerca, alla sperimentazione”.

Il laboratorio implica avere le idee chiare sul percorso didattico da intraprendere, la visione delle azioni da realizzare. Nell’attuare il progetto nella sua complessità bisogna adattarlo:

  • agli stili cognitivi degli alunni, alle diverse modalità di apprendimento, alle differenti intelligenze;
  • alla flessibilità a comprendere schemi via via più complessi che consentono di dare origine a percorsi interdisciplinari;
  • al tipo di metodologia di insegnamento e di valutazione più vicina e consona alla capacità di apprendere del singolo.

Tutto questo permette di uscire fuori dalla dinamica del luogo dove si insegna e si impara, per entrare in quella dove si sperimenta, consentendo al docente di essere ricercatore del processo educativo e all’alunno di essere soggetto che costruisce il proprio apprendimento. La scuola dei laboratori può diventare un modello innovativo che supera il modello attuale basato su “apprendimenti formali, con assetti frontali, per orientarsi verso un apprendimento basato sui compiti, sui progetti da realizzare, su situazioni formative personalizzate e significative per lo studente”.

Certo la situazione in cui ci si muove oggi è di estrema difficoltà perché prevale:

  • un sapere relativo alle scienze di tipo manualistico, in cui i contenuti s’impongono sui processi metacognitivi;
  • l’assenza di un progetto di curriculo aperto e graduale della scienza passando da un ordine di scuola all’altro;
  • l’atteggiamento passivo dello studente nelle pratiche di laboratorio finalizzate prevalentemente a confermare conoscenze già

Va ribadito, altresì, che esiste anche una crisi dell’insegnamento scientifico e più in generale dell’insegnamento disciplinare, che ha le sue origini nell’assenza di un curriculo adeguato, sia rispetto ai contenuti (che cosa insegnare), sia rispetto al modo (come insegnare alle varie età). Tutto ciò perché “è entrata definitivamente in crisi l’idea che sia possibile trasmettere in modo significativo l’enciclopedia dei saperi scientifici” e che, ormai, si avverte l’esigenza di un approccio, totalmente diverso, per il quale diventa dominante “scegliere e concentrarsi”, “insegnare alcune cose bene e a fondo, non molte cose male e superficialmente”.

Sotto il profilo epistemologico è importante ridisegnare un nuovo quadro concettuale nel quale collocare una visione della scienza che faccia tesoro delle rivoluzioni scientifiche del Novecento (Relatività generale e Meccanica quantistica) liberandosi di quegli elementi tipici quali il dogmatismo, l’enciclopedismo, il riduzionismo, il formalismo e il continuismo che l’hanno contraddistinto fino alla fine dell’ottocento. La riflessione, dunque, necessaria si rivolge ai metodi utilizzati dalla scienza e che comunemente sono ricordati come metodo scientifico e metodo galileiano. Comprendere la diversità tra il metodo ipotetico-deduttivo e il metodo induttivo significa innanzitutto riuscire a superare i paradigmi dominanti, comprendere le discontinuità che nel corso degli ultimi quattro secoli hanno caratterizzato la scienza. Vuol dire anche prendere coscienza delle distorsioni createsi a causa di un insegnamento scientifico inserito in un modello di scuola elitario e selettivo per il quale “l’obiettivo fondamentale non è quello di utilizzare alcune conoscenze significative delle scienze per contribuire alla formazione di tutti i cittadini, ma è quello di individuare i pochi eletti che saranno in grado di comprendere sofisticati formalismi e potranno quindi continuare la ricerca nei vari ambiti specialistici”.

L’importanza del laboratorio sperimentale è messo in luce nelle attività di tirocinio nel percorso della SSIS Calabria sottolineando il contributo nel miglioramento della didattica delle scienze sperimentali dato dall’interazione Scuola-Università.

Ecco che la didattica laboratoriale rappresenta l’occasione per la quale non solo si è in grado di saper gestire le proprie risorse ma anche quelle offerte dal contesto in cui si opera. Per Le Boterf “la metacognizione s’impara”. Il laboratorio è il luogo per verificare le proprie competenze, per confermarle, per migliorarle.

Le caratteristiche più importanti sono la possibilità di relazionarsi e di investigare. Queste caratteristiche mettono in moto delle dinamiche che:

  • attivano discussioni di gruppo;
  • orientano verso un uso positivo della tecnologia;
  • promuovono metodologie innovative;
  • sviluppano contributi metacognitivi che vanno oltre i contenuti e il linguaggio della singola disciplina per approdare a “punti di vista interpretativi, inquisitivi ed euristici di origine interdisciplinare.

Il laboratorio si presta a superare perciò il “cosa sapere” e “quanto saperlo” per dirigere verso quelle strategie che aiutino a rispondere a “come saperlo” e “perché saperlo”.

L’azione formativa che si realizza è fondamentale per il tipo di apprendimento che si produce perché la didattica che si può organizzare sortisce effetti differenti: “una reazione chimica può essere descritta in aula dal docente, può essere simulata con un software in un laboratorio di informatica, può essere realizzata in un laboratorio di chimica”.

Qui è necessario precisare però l’utilizzo dei materiali poveri. Per una secondaria di secondo grado la mancanza di strumenti e materiali sottrae spazio al metodo operativo per favorire la “rappresentazione metacognitiva”, che, come abbiamo sottolineato, diventa importante, ma soltanto dopo, perché serve per pensare su quanto si è fatto. Il laboratorio coinvolge lo studente nella prassi, lo rende attivo: sia  in  modalità  riproduttiva che produttiva.

Nella prima lo studente “copia”, “ripercorre la procedura”, “riproduce” ciò che gli viene proposto; nella seconda è creativo, formula ipotesi sulle soluzioni da ottenere, “produce” qualcosa di personale. Perché il laboratorio diventi significativo e non solo applicativo l’obiettivo è “produrre pensiero a partire dall’azione”.

 

1.5 La professione formatore in didattica delle scienze

Occorre un nuovo profilo professionale del docente di scienza e questo richiede la condivisione di un percorso sviluppato, sia all’interno delle scuole che all’esterno, con una figura di esperto formatore che abbia le seguenti caratteristiche:

  • docente formato;
  • docente formatore dei formatori;
  • docente con competenze relazionali e contenutistiche forti;
  • docente sperimentatore sul campo;
  • docente con attitudine a coinvolgere e

Le criticità da superare sono in sintesi: resistenza verso il nuovo, poca disponibilità ad accettare l’esperto, interesse verso la progettualità, difficoltà a mettersi in gioco, acquisizione di un atteggiamento critico e riflessivo che aiuti a sviluppare una dimensione metacognitiva dell’apprendimento, rivisitazione degli argomenti trattati in classe “per individuare le proprie carenze interpretative e identificare gli eventuali ostacoli cognitivi degli studenti”.

E’ implicito che assieme alle competenze didattiche-metodologiche bisogna integrare le riflessioni sulle modalità di comunicazione. Spesso gli insegnanti di scienza tendono a sottovalutare il ruolo importante che essi possono svolgere nella possibilità di accrescere e migliorare le abilità linguistiche e il senso critico degli studenti, svilendo l’azione culturale complessiva che essi rivestono. Al contrario attribuire la giusta importanza ai linguaggi specifici delle discipline permetterebbe agli studenti di avvicinarle diminuendo le difficoltà che incontrano nell’acquisire i concetti scientifici.

Non è difficile constatare che le discipline scientifiche sono ancora fondate “sulla struttura specialistica, enciclopedica, libresca”, in altre parole caratterizzate da saperi “manualistici, sistematico-deduttivi, formalizzati” che mal si adattano a menti da formare, “sono noiose, non coinvolgenti, non motivanti”, dunque, poco assimilate dalla maggior parte degli studenti e, di conseguenza, non ci potrà essere alcuna innovazione possibile, in termini di trasformazione di sistema, se si rimane ancorati alla scuola dei programmi e non si passa a quella di un curriculo aperto graduale che tiene in massima considerazione la maggior parte degli studenti e pertanto si interroga su “che cosa si insegna” “sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo.” Nel dibattito interno alla scuola appare chiaro, a tutti coloro che sono parte attiva del processo educativo, come sia indispensabile, da un lato, ridurre la quantità di argomenti, dall’altro, destrutturare gli ambiti disciplinari per riorganizzarli sul piano educativo.

Il lavoro che si prospetta deve puntare alla costruzione del curricolo avendo come obiettivo l’integrazione tra competenze, saperi e laboratori. Accantonare il sapere rigido e formalizzato vuol dire aprirsi a metodologie che spaziano in maniera trasversale tra diverse discipline, che valorizzano competenze non solo di tipo cognitivo ma, soprattutto, quelle che consentono di saper analizzare un problema e di saperlo contestualizzare. Il passaggio che, dunque, si chiede è destinato a creare in qualche modo conflitto perché richiede un’abilità complessa con la quale instaurare un rapporto tra discipline diverse ma anche tra ambiti diversi della stessa disciplina. Tutto ciò comporta una trasformazione delle discipline. Questa trasformazione implica che la disciplina sia “intrinsecamente interdisciplinare e trasversale”. Questo approccio vuole semplicemente significare che non è importante conoscere tutto ma diventa importante “saper gestire la conoscenza”. Essere competenti vuol dire in questo caso “saper cosa fare, come, quando e perché, in un certo contesto”.

 

1.6 La didattica laboratoriale nell’esperienza personale

In linea con le considerazioni sviluppate fino ad ora nella mia pratica scolastica la didattica laboratoriale ha assunto ormai un ruolo fondamentale, perché sono convinto che il laboratorio scientifico può considerarsi efficace se il processo di apprendimento ha sedimentato nello studente nuovi interessi, nuove curiosità, nuovi stimoli. Più in generale la didattica che fa uso del laboratorio, come metodo d’insegnamento, diventa un potente strumento se il fare lezione si esplica come attività che conferisce valore alla scoperta perché è in grado di dare risposte. Queste risposte non sono il prodotto di una sequenza di fasi preordinate, ma di un percorso nel quale il soggetto ha l’opportunità di agire, lavorare, relazionarsi decidendo in modo autonomo, perché ha la possibilità concreta di calarsi in un ambiente significativo, esclusivo e destinato alla capacità di stimolare appieno ogni abilità e, motivare alla competenza, ottenendo così quegli effetti positivi offerti dalle aspettative che tale luogo fisico è in grado di proporre.

In questa direzione cerco di far incontrare due visioni di concepire il laboratorio: da un lato come spazio-tempo di verifica delle leggi, officina per acquisire abilità del misurare e dall’altro come terreno fertile per sviluppare un pensiero critico, capace di fondere le abilità manuali con quelle mentali per creare le giuste sinergie tra il pensare e l’agire, in modo da condividere teorie e concetti con l’elaborazione e il procedere sperimentale.

Utilizzare la didattica laboratoriale significa guidare processi di auto-apprendimento quali l’analisi, l’osservazione, il confronto, la ricerca di diversi itinerari possibili nella soluzione di un problema che consentono così agli studenti di diventare i protagonisti, attori di un processo in cui acquisiscono competenze. In quest’ottica l’attività di laboratorio promuove la discussione, la riflessione, il ragionamento.

Scienze e laboratorio dunque come momento d’incontro per apprendere insieme le strategie necessarie, gli strumenti utili per risolvere un problema, ma anche per sviluppare gradualmente quella “forma mentis“ indispensabile per saper affrontare sempre situazioni problematiche perché abituati costantemente a viverle e perciò in grado di comprenderle. Sul piano didattico il laboratorio, per lo studente che si misura con il sapere scientifico, è il luogo senza il quale non c’è apprendimento, lo spazio nel quale lo studente è in grado di scoprire e costruire la propria visione del mondo e della realtà che lo circonda. Il laboratorio come spazio fisico e mentale dove coinvolgere gli studenti in uno scambio cooperativo e permettere l’acquisizione di conoscenze, metodologie e abilità didatticamente misurabili. Il laboratorio esalta la pratica del fare dove l’agire sperimentale si confronta concettualmente con la problematicità dei processi, con la complessità dei saperi. La didattica laboratoriale costituisce dunque uno strumento di forte innovazione perché permette di dare cittadinanza ai linguaggi verbali e non verbali, di sviluppare autostima e autonomia culturale e infine di facilitare i processi di interazione e cooperazione.

 

 

 

 

 Andrea Checchetti

Docente di Chimica

 ITCG-ISA di San Giovanni in Fiore (CS)

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