Il datore di lavoro versione 4.0

Il datore di lavoro versione 4.0

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Il presente articolo si concentra sulla nuova condizione del datore di lavoro 4.0 ovvero di quella figura che sarà chiamata nei prossimi anni a mutare radicalmente la propria formazione e forma mentis nonché la struttura organizzativo - gestionale dell’azienda. La sensazione principale è quella di un viaggio verso l’ignoto che, come tutti i viaggi la cui destinazione non è programmata, suscita un senso di angoscia. Per superarlo si può fare solo una cosa: conoscere un po’ la strada che andrà percorsa.

Dicono che prima di entrare in mare
Il fiume trema di paura.
A guardare indietro
tutto il cammino che ha percorso,
i vertici, le montagne,
il lungo e tortuoso cammino
che ha aperto attraverso giungle e villaggi.
E vede di fronte a sé un oceano così grande
che a entrare in lui può solo
sparire per sempre.
Ma non c’è altro modo.
Il fiume non può tornare indietro.
Nessuno può tornare indietro.
Tornare indietro è impossibile nell’esistenza.
Il fiume deve accettare la sua natura
e entrare nell’oceano.
Solo entrando nell’oceano
la paura diminuirà,
perché solo allora il fiume saprà
che non si tratta di scomparire nell’oceano
ma di diventare oceano.

(Khalil Gibran – Il fiume e l’oceano)

Ho sempre amato la magia che accompagna la frase c’era una volta e quel suo potere di collocare il lettore in un luogo in cui spazio e tempo cessano di avere la funzione che hanno per noi in questo “regno” e di creare quella sintonia tra immaginazione e realtà che, in tal contesto, si confondono dando a colui che legge quella sensazione di non essere più in grado di distinguere cosa è reale da cosa appartiene alla finzione e mi piace essere certo che fosse stato questo l’obiettivo che si era prefissato l’inventore di quella formula magica. Sentite la differenza (l’inizio è della fiaba di Pollicino): “Un povero contadino una sera se ne stava seduto accanto al focolare ad attizzare il fuoco, mentre sua moglie filava” fa subito pensare ad un ipotetico vicino di casa o a qualche scena bucolica reale e concreta che possa essere vista girando l’angolo di qualche viuzza di paese. Piuttosto: “C'era una volta un povero contadino che una sera se ne stava seduto accanto al focolare ad attizzare il fuoco, mentre sua moglie filava” rappresenta qualcosa che esula dalla nostra quotidianità, rende la tal cosa inafferrabile ed è come se appartenesse ad un mondo diverso dal nostro in cui per arrivarci è richiesto un viaggio senza però darci indicazioni né in merito ai mezzi di trasporto né tantomeno alle coordinate geografiche della méta. Sembrerà strano ma è il viaggio e le difficoltà intrinseche che si porta dietro il primo punto chiave di questo articolo.

Queste escursioni mentali potenziavano in modo naturale, spontaneo ed inimmaginabile la psiche del lettore che, senza rendersene conto, si elevava anche quando a primo acchito gli sembrava di leggere storielle per bambini, cosa che in realtà non erano affatto. È appurato che quella formula magica serviva proprio per gli adulti perché i bambini hanno già innata una capacità di viaggiare con la mente che non richiede altro, sebbene questo io lo abbia capito solo adesso che sono padre. Ricordo, invece, che da fanciullo, quando erano gli altri a leggere per me, sentire quell’incipit all’inizio di ogni fiaba mi dava una sorta di fastidio, come se lo scrittore mi stesse sottovalutando. Ora, che dovrei essere istruito, invece no, ne avverto un senso di totale bisogno. La scuola è quell’esilio in cui l’adulto tiene il bambino fin quando è capace di vivere nel mondo degli adulti senza dar fastidio diceva la Montessori.

Niente di più vero. La mente dell’adulto “sfornato” dalla scuola dei nostri tempi viene traumatizzata da tante forzature cui è sottoposta direttamente o indirettamente: ragionare per causa-effetto, pensare ad un tempo necessariamente sequenziale e irreversibile, non allenarsi alla critica positiva o a mettere in dubbio socraticamente ogni cosa e credere fermamente che un viaggio possa essere solo fisico mentre quello mentale è impossibile se non addirittura pericoloso e sinonimo di malattia psichica, dimenticando che, seguendo questo metro, la stragrande maggioranza dei geni del passato (Jules Verne, Antoine de Saint-Exupéry, Jonathan Swift, i fratelli Grimm per citarne alcuni) sarebbero stati internati in qualche manicomio. Tutto questo si porta dietro l’inesorabile paura di ogni novità e di qualsivoglia luogo che non si conosca a priori o del quale non si possano controllare preventivamente le condizioni.

Eppure la méta la scegliamo sempre ed esclusivamente noi uomini. A titolo di prova, molti si lamentano della pervasività delle reti cellulari rivangando i fasti della libertà anonima ma poi sono i primi a passare le giornate a pubblicare sui social ogni evento della loro quotidianità magari lamentandosi anche se qualcuno invade la loro privacy. Questo è il secondo architrave dell’articolo: la paura. Nel corso dei secoli ogni civiltà l’ha contestualizzata e chiamata in tanti modi diversi, l’ha rappresentata nel mito e nelle leggende varie e ne ha descritto lo stato d’animo lasciando che la capacità intellettiva di ogni lettore ne tirasse fuori la giusta interpretazione. Non ci soffermeremo qui ad elencarne le varie nomenclature ma solo a convenire sul fatto che è assolutamente normale che sia così.

Anzi, è necessario che ci sia paura perché in fondo ogni crescita è un salto in avanti e richiede tenacia e pervicacia per dimostrare mediante atti concreti e coraggiosi di meritarla. Ogni cambiamento è un salto nel buio e presuppone l’abbandono di tutte le certezze che si davano per scontate, molte delle quali addirittura fin dalla nascita e, in effetti, tutti i miti parlano di uomini che vincono la resistenza della paura con merito e, superato un certo ostacolo, riescono a raggiungere la loro massima espressione. Penso ad Abramo che lascia tutto per seguire un Dio ignoto verso terre altrettanto ignote, Mosè che lascia gli agi per accompagnare un popolo attraverso il deserto verso un luogo imprecisato, Francesco D’Assisi che fa più o meno la stessa cosa e così via, l’elenco potrebbe continuare a dismisura. Dunque viaggio e paura, per meglio dire la paura del viaggio.

Iniziamo, pertanto, il contenuto dell’articolo dicendo che c’era una volta la paura di un datore di lavoro di intraprendere un nuovo viaggio di cambiamento e transizione da uno stadio lavorativo aziendale ad un altro. Ma non vorrei ragionare in termini di paura adulta, se così si può dire, che ha in genere spauracchi inutili, futili, che ad un bambino neanche verrebbe in mente di prendere in considerazione (paura della morte, della solitudine, della vecchiaia, della stabilità economica ecc.). Un bambino ha inquietudini più semplici, meno raffinate, che condensano nella madre di tutte le paure: il buio. Vorrei quindi analizzare lo stato di passaggio nella nuova condizione del fornitore di lavoro come farebbe un bambino, con l’unica paura dettata dalla miopia che aleggia intorno all’orizzonte che si prospetta. Questo stato d’animo nasce dalla constatazione di una modifica pesante nello strato produttivo ed organizzativo che confluirà inevitabilmente nel ripensamento quasi totale delle modalità operative e, a differenza di altri cambiamenti epocali della storia del mondo del lavoro, questa volta vi è associata la normativa a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori per cui il datore di lavoro si trova tra l’incudine del cambiamento in atto da mettere in pratica per rimanere al passo con i tempi e il martello della Legge che delimita i contorni entro i quali egli può muoversi.

Scaturiscono nel suo animo molte domande: Come gestisco l’interferenza tra macchine intelligenti e uomo? Nel caso in cui una macchina intelligente (o un robot) dovesse commettere un’azione non conforme e causare un danno chi paga? Che responsabilità ho io in merito a tutto questo? E per i rischi fisici (rumore, vibrazioni, campi elettromagnetici) che inevitabilmente diventeranno più marcati cosa devo fare? Sono domande non di poco conto tenendo a mente che per il D.Lgs. 81/08 il Datore di Lavoro è il soggetto in capo al quale ricade tutta la responsabilità della filiera di tutela della salute e sicurezza di un lavoratore che presta il proprio servizio alle sue dipendenze ed in questa fase è chiamato a fronteggiare il nuovo mondo del lavoro pesantemente iniettato di progresso tecnologico e digitalizzazione oramai quasi totale dei sistemi. Il tema del datore di lavoro 4.0 è stato affrontato recentemente dall’ Agenzia Europea per la salute e la sicurezza sul lavoro (EU-OSHA), in un testo che è il consuntivo di due anni di ricerca, dal titolo “Foresight on new and emerging occupational safety and health risks associated with digitalisation by 2025” . Sfruttando alcune analisi previsionali, l’EU-OSHA ha indicando due strade che si spianeranno nell’immediato futuro:

  1. Presenza massiccia dei sistemi di automazione per interconnessione dei vari processi di lavoro
  2. Autonomia organizzativa ed autogestione

In sostanza saranno molte, come si teme e prevede, le attività che porteranno alla sostituzione dell’uomo con macchine intelligenti e autosufficienti ed alla formazione specifica in materia digitale degli operatori che interagiranno in maniera più copiosa con la macchina, ne impareranno il linguaggio. Questo dialogo è stato oggetto di tanti dibattiti nel corso della storia soprattutto nella fase dell’industria 2.0. Si prevede una considerevole richiesta di personale, soprattutto dirigente e, di conseguenza, anche datore di lavoro, con forti competenze digitali che, allo stato attuale della situazione, in pochi possiedono. Un datore di lavoro 4.0 dovrà, pertanto, poter contare su figure professionali di matrice telematica che possano coadiuvare la sua attività e fornire quella corretta consulenza fondamentale come abbiamo visto. Ma non è tutto. Questi consulenti dovranno, altresì, essere in grado di assisterlo anche nella delicata analisi della sicurezza sui luoghi di lavoro che subirà una drastica riqualificazione. Ogni lavoratore dovrà, in sostanza, essere formato per relazionarsi con le macchine in modo corretto e sicuro sia per quanto riguarda il delicatissimo tema del trattamento dei dati personali che, ovviamente, per quanto concerne la salute e sicurezza. Ci saranno presumibilmente delle risorse nuove dedicate anche alla manutenzione dei nuovi impianti afferenti all’ IoT e dotati di Intelligenza Artificiale sempre più simile a quella umana. Si parla già di manutenzione predittiva intendendo un ausilio degli strumenti di data mining anche nella fase di organizzazione di piani manutentivi delle macchine stesse che saranno progettati sulla base dei dati reali relativi alla macchina e che determineranno quando bisogna intervenire e su quale punto specifico seguendo una tecnica che in gergo è detta root case analysis. Queste indagini però, avranno delle potenziali ricadute sulla salute e sicurezza perché una macchina correttamente funzionante è una reale garanzia di salvaguardia dell’incolumità del lavoratore. Pensiamo ad un eventuale guasto elettrico, ad esempio, dovuto alla mancata verifica periodica della componentistica o un malfunzionamento meccanico che può comportare gravi danni all’operatore. Riassumendo, il nuovo datore di lavoro dovrà essere in grado di analizzare dati e muterà la concezione della salute e sicurezza in termini predittivi cosa che in realtà è già in atto con la spinta del mondo scientifico verso la registrazione dei near miss ovvero, banalizzando, di eventi che avrebbero potuto produrre un infortunio sul lavoro ma che non lo hanno fatto per “pura fortuna”.

Questi eventi, se ben strutturati, possono fornire una potente arma per predire scenari futuri o rischi potenziali. Tutto questo, soprattutto per i settori a maggior rischio, può essere un assoluto bene. Il datore di lavoro 4.0 avrà a che fare anche con Dispositivi di Protezione Individuale intelligenti, muniti di sensori IoT in grado di segnalare stati di usura, mancato utilizzo o utilizzo non conforme da parte dell’operatore, incompatibilità con l’ambiente, in grado anche di inviare messaggi ad una centrale operativa riguardo alla presenza di sostanze particolarmente dannose per la salute ad esempio gas, fiamme o, addirittura, allertare la stessa centrale nel caso di malore del tecnico che li indossa. Esiste già nel panorama una folta gamma di attrezzature molto ben fatte ma che saranno abbondantemente raffinate ed utilizzate da qui ai prossimi anni.

Qualche mese fa, nel corso di un audit, ho avuto modo di riscontrare direttamente un’azienda che aveva dotato i propri dipendenti di braccialetti in grado di monitorare, oltre a parametri vitali quali la frequenza cardiaca, anche il corretto utilizzo dei DPI. Ma esistono anche elmetti che monitorano le onde cerebrali ed interpretano lo stato emotivo del lavoratore, quando è stanco, quando non è concentrato o se abbia consumato sostanze alcoliche o stupefacenti accorgendosi quindi se è troppo stanco o, comunque, in condizioni non idonee al lavoro. Il tutto ovviamente deve essere opportunamente delimitato dal rispetto della privacy personale, aspetto sul quale demandiamo ad altri articoli.

Fiaba finita, torniamo alla realtà. Questo piccolo viaggio è servito per esplorare un po’ il luogo ignoto che aspetta il datore di lavoro 4.0 e tranquillizzarlo in merito ad alcune cose che lo agevoleranno senza ombra di dubbio. Come sempre, ma questo vale per tutti gli aspetti della nostra vita, l’uso determina l’utilità. Abusare di sistemi appena elencati, per esempio per monitorare la produttività del lavoratore o per spremerlo finché non giunge un segnale di alert, pare ovvio che possa solo peggiorare la situazione e regredire la condizione umana laddove all’interno di un uso, come sono solito dire nei corsi di formazione o nei libri, con l’uomo-lavoratore al centro, non vedo particolari controindicazioni, anzi. Porre l’uomo al centro, però, è cosa molto complicata. Ma questa è un’altra fiaba…

Paolo Preiano'

BIBLIOGRAFIA