Didattica e Tecnologie

Insegnare al tempo dei “nativi digitali”

Insegnare al tempo dei “nativi digitali”

La nostra è l’epoca della trasformazione tecnologica più rapida rispetto a quella di Gutenberg, almeno nel campo delle informazioni e della comunicazione; oggi praticamente ogni aspetto della vita è condizionato dalle nuove tecnologie. Questa era digitale ha radicalmente trasformato la maniera in cui le persone vivono la propria vita e si pongono in relazione tra loro e con il mondo che li circonda. Gli educatori, i genitori e gli adulti in genere devono attrezzarsi per comprendere ed interagire con i nostri giovani e ricercare ‘la strada giusta’ per improntare un dialogo formativo. L’emergere di nuove forme di alfabetismo che i New Media hanno proposto conduce alla convinzione che occorre costruire un nuovo sistema di apprendimento su nuovi stili cognitivi per attivare a scuola una didattica efficace e formativa dei nostri nativi digitali: Didattica 2.0.

La scuola di base è coinvolta in un processo di evoluzione, in cui il suo progetto pedagogico-sociale si innerva nei modelli organizzativi e nelle risorse umane e strumentali che sono disponibili, queste ultime attualmente messe a dura prova. Nell’attuale scenario socio-culturale, uno dei nodi cruciali è costituito dal rapporto tra mezzi di comunicazione e processi formativi e dalla conseguente ridefinizione del ruolo che gli educatori (gli insegnanti in primis) sono chiamati a sostenere.

Nella riflessione sociologica sui processi di socializzazione è un dato ormai consolidato che i Media siano una parte costitutiva dell’ambiente di apprendimento: un’agenzia di socializzazione e uno strumento educativo. In particolare Internet e Web sono comunemente considerati un secondo ambiente di vita dei ragazzi: un capitale culturale che, anche attraverso di essi, raggiunge la scuola. A questa viene affidato il compito di trasformarlo in capitale sociale capace di moltiplicare le chance di apprendimento e di diminuire le possibili disuguaglianze sociali.

Necessita, pertanto, una riscrittura e una riorganizzazione dei processi di apprendimento, un nuovo modello di knowledge management, nuovo ambito di attenzione di sociologi e pedagogisti, che si è sviluppato negli ultimi venti-trenta anni e che ha beneficiato della crescente importanza data alla società della conoscenza. Oggi nel KM vi sono due tipi di orientamento: uno in cui la conoscenza viene considerata oggetto, intesa come quantità di informazione esplicitabile, trasferibile, archiviabile e accumulabile attraverso  i sistemi di gestione digitale dell’informazione; l’altro in cui la conoscenza è considerata come processo teso a focalizzare le dinamiche creative che conducono la conoscenza a ristrutturarsi e a considerare centrali i contesti concreti in sui si incorpora, così da riconoscere che non tutta la conoscenza non può essere formalizzata. Nuovi spazi, nuove regole, dispositivi, modelli e buone pratiche che siano trasferibili da un contesto ad un altro richiedono che le nuove tecnologie debbano offrire opportunità in più per una crescita effettiva di democrazia universale della conoscenza, che resta comunque l’esaltante aspirazione del nostro tempo.

Nelle 10 tesi enunciate da Pier Cesare Rivoltella, circa la pedagogia dei media, si può delineare un processo che conduce a educare e costruire conoscenza utilizzando i media nelle diverse modalità; in questo modo si configura un’educazione che agisce ed opera secondo la vision della, cosiddetta, Media Education.

All’interno di quest’ambito, si sono inseriti due orientamenti: Media Education e Education Technology; nella sua prima tesi Rivoltella chiarisce il loro specifico campo di azione, che non è nettamente distinto ma l’uno sconfina nell’altro, in quanto necessari e fondanti come orientamenti tematici ed applicativi da cui ogni educatore deve partire per ripensare concetti, metodologie e pratiche.

In un territorio coinvolto dalla pedagogia dei media si distinguono due ambiti e come dice Rivoltella: “L’Education Technology è la didattica che fa uso delle tecnologie e considera i media digitali come supporto alla mediazione nei processi di insegnamento e apprendimento e si occupa di studiare le applicazioni educative della tecnologia, i metodi e gli strumenti operativi mediante i quali tali applicazioni vengono operate, il versante è quello del cognitivo”.  La tecnologia dell’educazione, Education Technology, deve mirare ad approfondire il come si possa insegnare/apprendere con i media e le problematiche cognitive e relazionali legate a questi processi. In tale ottica la Education Technology è un’area interdisciplinare che si è sviluppata negli ultimi anni e che pone al centro lo studio razionale, la progettazione, l’allestimento di ambienti e sistemi formativi intesi come complessi di dispositivi, non solo tecnologici, anche sociali e normativi, atti a favorire, secondo Calvani, forme adeguate di apprendimento. Tutto ciò richiama e delinea una dimensione progettuale di carattere costruttivista: centralità e partecipazione attiva del soggetto coinvolto (soggetti coinvolti), analisi e riflessione intorno ai concetti di obiettivo didattico e di curriculum: analisi del bisogno formativo e del contesto, definire operativamente le finalità e l’obiettivo formativo generale da conseguire, valutare le conoscenze in ingresso,  individuare i sotto-obiettivi, stabilire le metodologie da adottare che permettano di svolgere particolari forme di collaborazione (cooperazione) e negoziazione sociale, strutturare verifiche iniziali, intermedie e finali di tutto il processo di insegnamento-apprendimento, al fine di apportare aggiustamenti o modifiche. In questo modo la conoscenza è prodotto di una costruzione attiva del soggetto, ha carattere situato, ancorato nel contesto concreto, si svolge attraverso forme di cooperazione e negoziazione, la costruzione del significato si focalizza sul carattere attivo, polisemico, non predeterminabile delle attività, spostando l’attenzione al concetto di ambiente di apprendimento.

Ma in tutto ciò si innestano in modo determinante gli approcci e le pratiche di cui la Media Education si avvale: pratiche educative, didattiche e di ricerca riconducibili all’educazione nei e ai media. Rivoltella procede nella sua esposizione affermando che “La Media Education consiste nel lavorare sui linguaggi non solo digitali, ma anche su quelli mediali” ed è qualcosa di propedeutico alla prima (Education Tecnology), “in quanto lavora sui linguaggi mediali in genere, che ora sono comunque digitalizzati, considerati come artefatti culturali rispetto ai quali sviluppare pensiero critico e responsabilità”. L’educazione “ai” media diventa oggetto di intervento educativo; sono i loro messaggi a interessare gli educatori che applicano ad essi metodologie e tecniche per promuovere una comprensione critica da parte degli allievi, che si lega ai temi della difesa del minore, della sua capacità di sviluppare senso critico di fronte ai messaggi dei media, della qualità dei programmi, della responsabilità delle emittenti. La Media Education ha subito individuato nella scuola il proprio territorio di elezione per educare le responsabilità, educare alla Cittadinanza Digitale.

Nella seconda tesi definita da Rivoltella: 2. La logica dei consumi culturali non corrisponde a aut aut, ma a et et, egli afferma che “Le tecnologie non sono sostitutive, ma integrative. Più che fattore di discontinuità, bisogna considerare il digitale come una ri-mediazione della realtà, cioè a una riconfigurazione in un’altra chiave degli elementi della realtà quotidiana. Il digitale non sostituisce niente, ma arricchisce le nostre possibilità di intervento nel reale.”

Il nuovo ambiente di apprendimento non elimina quelli vecchi e/o tradizionali, ma li costringe però a misurarsi con continue innovazioni, in particolare a diffondere l’attitudine all’innovazione e a favorire l’adattamento ad aspettative in veloce mutamento, senza nette distinzioni tra l’avvento di un medium e quello di un altro. Secondo Rivoltella bisogna leggere i Media in continuità.

La scuola deve produrre competenza del nuovo senza chiusure e cancellando la paura dell’ignoto, senza rinunce ai rigorosi criteri della scienza e della preservazione della conoscenza. Secondo David Bolter, autore del libro "Lo spazio dello scrivere. Computer, ipertesto e la ri-mediazione della stampa", afferma che ogni tecnologia è un’evoluzione di quella precedente, un concetto che egli chiama principio di Ri-mediazione[1].

In Europa occidentale il passaggio dal codice al libro a stampa fu un ulteriore riconfigurazione, alla quale ultima in ordine di tempo, si aggiunge ora quella legata alla scrittura elettronica. Ciascuna di queste transizioni può essere chiamata Ri-mediazione: nel senso che un medium nuovo prende il posto del medium in uso, ereditando e insieme riorganizzando le caratteristiche di scrittura del vecchio medium e riformando il suo spazio culturale. La ri-mediazione è una fase di competizione culturale tra due o più tecnologie della comunicazione, che vanno integrate in un discorso continuo, abbandonando così la logica esclusivista e rivoluzionaria quando fa il suo ingresso una nuova tecnologia.

L’ambiente tecnologico è sempre ecologico e quindi si parla di ECOLOGIA DEI MEDIA, che permette la logica integrativa tra il naturale e il digitale, tra il cartaceo e il multimediale nelle pratiche educative e didattiche in maniera efficace e significativa, abbandonando e non sostenendo logiche esclusiviste proprie di un approccio deterministico psicologico e tecnologico. Antonio Calvani[2], parlando di un nuova ecologia dei media, che non è per niente negativa, evidenzia che è in atto un consapevole riposizionamento dell’attenzione su questo o quel “task cognitivo” a seconda dell’interesse  per l’attività o il compito svolto in quel momento da parte del ragazzo.

Questa logica integrativa dei linguaggi dei media arricchisce la cassetta dei tools in possesso di ciascun educatore/insegnante, che gli/le permetterà di strutturare e di promuovere al meglio il percorso educativo-didattico con i propri studenti. “Più che le tecnologie, ciò che conta sono le pratiche. Il rischio non è quello del determinismo tecnologico, ma quello del modellamento sociale”, questo riguarda la terza tesi enunciata da Rivoltella: Non sono i media che fanno cose ai bambini, ma sono i bambini che fanno cose con i media. Tutti i nostri ragazzi sono oggi in grado di usare un computer, un cellulare evoluto, la rete Internet; in pratica, tutti loro possono vantare già in tenera età una significativa esperienza in questo campo. Ma l’esperienza, se non viene approfondita attraverso la riflessione e l’analisi di quello che si fa in modo inconsapevole, non solo può rivelarsi fine a se stessa, ma può addirittura risultare dannosa. L’esperienza collettiva ed individuale dei giovani nati nell’era digitale è caratterizzata dalla presenza e dalla mediazione dei mezzi di comunicazione a tal punto da modellare le loro identità e, di conseguenza le loro vite, per cui bisogna fare da parte degli adulti una lettura sociale dei media legando il formale all’informale. Ma questa terza tesi si riallaccia alla quarta tesi:  4. Rapporto tra formale e informale . L’informale, oggi, è fatto di tecnologie. Le nostre esistenze sono permeate dal digitale, che media le nostre conoscenze, la nostra rappresentazione e consapevolezza del passato e le nostre relazioni. Tutto ciò implica grandi rischi, ma anche grandi possibilità, che sta a noi equilibrare. Rinunciare però alle tecnologie, significa per la scuola rinunciare al suo compito, che è aiutare i soggetti all’interpretazione della cultura.” La scuola ha il compito di saper cogliere con responsabilità e coscienza ciò che la realtà presenta con l’insieme di segni e segnali utili e per proporla e modificarla a suo piacimento, in tal modo il contesto educativo-didattico si trasforma in un’officina di ricerca e fantasia culturale, in cui la varietà di esperienze, attività, valori, linguaggi, risorse umane e non interagiscono con l’ambiente dove ciascun alunno ne è fruitore e creatore, portando anche il suo bagaglio di esperienze e conoscenze anche dell’informale che si “mescola” con il formale per costruire conoscenza e competenze.

L’emergere di esigenze educative sempre più differenziate richiede che la scuola sappia offrire ai ragazzi una gamma di opportunità didattiche giocate anche su una varietà di risposte tecniche e strumentali. Le tecnologie multimediali, in tale prospettiva, rappresentano una strada maestra per la “Nuova Scuola”, consentendo l’interattività, la possibilità di interagire con ambienti dinamici, fatti di animazioni e video pieni di colori nei quali il ragazzo è trasformato da spettatore passivo in partecipante attivo. Ciò ci conduce alla quinta tesi: 5. I media digitali e sociali sono soprattutto macchine autoriali: “Sono cioè cose con cui si possono fare altre cose: valorizzarle a scuola significa portare in classe la dimensione laboratoriale, quindi mettere al centro l’apprendimento per scoperta e un coinvolgimento totale mente-corpo-cervello (l’unico che per Piaget conduce all’apprendimento duraturo).”. Il ricorso al supporto dei New Media a scuola è di fondamentale importanza, in quanto permette agli alunni la produzione di elaboratori sia individuali, quindi declinati secondo le proprie esigenze e conoscenze e sia di gruppo al fine di ridurre il divario tra scuola ed extra scuola e promuovere relazioni positive e costruttive tra pari e non, ma ciò garantisce a pieno una nuova dimensione di piacevolezza nell’esperienza di apprendimento vissuta dagli alunni stessi. Numerose ricerche hanno constatato che l’utilizzo dei New Media a scuola, specialmente con gli alunni in difficoltà e non solo, risulta essere gratificante e motivante, ciò perché il loro uso corretto e mirato offre l’opportunità di far gestire al meglio il lavoro da ogni alunno come la messa a punto di strumenti vari digitali che potranno rendere più efficace e funzionale le loro attività di studio con il potenziamento anche della dimensione metacognitiva dell’apprendimento.

 In quest’ottica i docenti possono e devono offrire ai propri alunni valide motivazioni all’apprendimento, in modo da coinvolgerli nello svolgimento delle attività scolastiche e seguirli nei processi di progettazione e di ricerca. L’attivazione di significativi ed innovativi processi di progettazione educativa e formativa con i media e per i media devono mirare a promuovere atti comunicativi che creano formazione su più dimensioni.

La nuova cultura di fruizione attiva dei media che la scuola deve promuovere, secondo Henry Jenkins[3], deve basarsi sulla cultura partecipativa delle nuove generazioni, di cui si distinguono varie forme:

  • AFFILIAZIONE intesa alla partecipazione formale e informale alle community online come Friendster, Facebook, MySpace, i forum, il metagaming o i game clans;
  • ESPRESSIONI CREATIVE: produzione di nuove forme creative, come il sampling digitale, lo skinning e il modding, i fan video, le fan fiction, le fanzine o i mash-up2;
  • PROBLEM SOLVING DI TIPO COLLABORATIVO/COOPERATIVO. Il lavorare insieme in gruppi, formali e informali, per raggiungere obiettivi e sviluppare nuove conoscenze, come accade per esempio con Wikipedia, i giochi di realtà alternativa o lo spoiling ;
  • CIRCOLAZIONE: Modellare il flusso dei media, così come accade con il podcasting o i blog.

Ippolita Gallo

 

Riferimenti Bibliografici

[1] XI Convegno “Educazione, Apprendimento e nuove tecnologie. A casa e a scuola dagli asili nido in su” 9 maggio 2015 c/o il Teatro di Pieve (Tn), https://medium.com/il-digitale-e-la-scuola/il-digital-education-day-e-le-dieci-tesi-di-rivoltella-su-scuola-e-tecnologie-6f21e4daaf71

2 Le dieci tesi su scuola e tecnologia, di Piercesare Rivoltella, CREMIT, Read more at http://www.cremit.it/le-dieci-tesi-scuola-tecnologia/#eY8QKXD1E6q97fi7.99,

3 Bolter Jay David, 2002, Lo spazio dello scrivere. Computer, ipertesto e la ri-mediazione della stampa, Vita e Pensiero Università, pag. 38

4 Calvani A. (a cura di), 2007, Tecnologia, scuola, processi cognitivi. Per una ecologia dell’apprendere, Franco   Angeli, pag. 60

5 Jenkins Henry, 2010, Culture partecipative e competenze digitali. Media education per il XXI secolo, Guerini Studio, pag 57

 

 

 

 

 

 

RIFERIMENTI

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