Quando si pensa al concetto di educazione digitale, non si ha molto chiaro a quale idea di educazione bisogna riferirsi. Si evocano concetti di educazione lontani, artificiali, tecnologici, cui guardare come a qualcosa di nuovo da imparare. Allora si pensa a corsi di formazione, a esperti che devono “insegnarci” a essere “educati digitalmente”, come se l’educazione digitale fosse qualcosa di diverso dal più generale concetto di educazione. Corollario di questo modo di ragionare è il rafforzamento della scissione tra l’Io reale e l’Io virtuale, quasi come se la persona avesse due diverse e nettamente distinte dimensioni: una on line, una off line. Da tale modo di percepire l’educazione digitale derivano rilevanti e talvolta paradossali conseguenze, ma soprattutto deriva la convinzione che si può essere persone diversamente educate secondo il piano, reale o virtuale, che decidiamo di considerare. Facciamo alcuni esempi per chiarire il concetto. Una persona reputata educata dalla società non si sognerebbe mai di disturbare il prossimo in orari non considerati consoni (ovvero la mattina molto presto o la sera molto tarda), se non in casi valutati di estrema gravità o urgenza. Al contrario, è noto che le chiamate così come i collegamenti virtuali possono avvenire a tutte le ore del giorno e della notte, senza che ve ne sia alcuna necessità, ma solo perché è possibile farlo. Si entra in qualunque momento nella vita delle persone senza bussare, senza chiedere il permesso, senza pensare di poter disturbare o essere invadenti. Il rispetto dell’altro, tuttavia, è il primo indice di educazione, definita dal dizionario come: “il metodico conferimento o apprendimento di principi intellettuali e morali, validi a determinati fini, in accordo con le esigenze dell’individuo e della società”. Una persona educata, poi, interviene in una conversazione solo se esplicitamente interrogata o coinvolta, e naturalmente a domanda segue risposta. Al contrario quando si assiste a una “conversazione digitale”, anche queste banali regole sembrano non valere. Può capitare, infatti, di essere inseriti in gruppi di conversazione e di ricevere infiniti buongiorno e buonanotte, oltre che i più svariati auguri per tutte le possibili ricorrenze del calendario, da parte di soggetti che a volte sono poco più che sconosciuti. Può accadere di assistere passivamente a liti, frecciatine, battibecchi tra i partecipanti o di dover “subire” conversazioni che non coinvolgono o non interessano. Difficile abbandonare: spesso paradossalmente è questa scelta a essere vissuta dagli altri partecipanti come maleducata, così come maleducato è ignorare, soprassedere o silenziare il gruppo. Certo si potrà dire che ci sono gruppi e gruppi: in realtà ancora una volta il discrimen è rappresentato dall’educazione (reale e non digitale) dei partecipanti a esso. Quelli considerati come “gruppi educati” in realtà sono gruppi composti da persone educate, cioè persone che si comportano nella dimensione virtuale applicando le stesse regole della dimensione reale. Vediamone alcune: si scrive nel gruppo a partire ed entro una certa ora, salvo urgenze effettive, ci si limita a fornire le informazioni ritenute essenziali (cioè quelle per la cui conoscenza e divulgazione si è resa necessaria la creazione stessa della chat), si fanno gli auguri per le principali festività riconosciute esplicitamente dal calendario. Per tutte le altre informazioni che non si riferiscono al “gruppo”, nulla vieta di avvicinare direttamente i vari partecipanti in chat privata. A tal proposito si ricordano alcuni noti fatti di cronaca che si riferiscono a episodi di cyberbullismo sui generis poiché perpetrati da alcuni genitori contro altri, nei “gruppi di classe” di Whatsapp. Nel caso cui si fa riferimento l’invadenza e la violenza del gruppo (dove alcune mamme si scagliavano contro altre a causa di un allarme pidocchi), aveva raggiunto un livello tale da richiedere l’intervento del dirigente scolastico della scuola. Inutile soffermarsi sul fatto che una persona educata non offende, non usa toni aggressivi o denigratori, non umilia, non si accanisce contro il prossimo. Anche questa sfumatura assume connotati diversi se ci si trova nella dimensione on line ovvero off line. La c.d. “schermatura del monitor” rende più aggressivi, meno empatici e più propensi a diventare “maleducati” quando non addirittura veri e propri criminali. Ancora una volta non confondere il piano reale da quello virtuale, potrebbe essere d’aiuto per tenere anche in queste situazioni un comportamento “educato”. Noti sono i c.d. haters o odiatori, cioè persone che usano il social network per diffamare, incalzare, insultare gli altri, specialmente personaggi appartenenti al mondo dello spettacolo. Senza arrivare a tali estremi tuttavia, non è mancato chi ha stilato alcuni comportamenti c.d. “vessatori” nelle comunicazioni virtuali, senza diventare giuridicamente rilevanti. Tra essi si annoverano: i soggetti che seguono ossessivamente gli amici in rubrica per vedere se sono collegati sulla chat di Whatsapp, l’ora dell’ultimo collegamento, se il messaggio è stato letto o no, se è arrivato e quando, se è cambiata la foto profilo, ecc. Particolarmente “molesti” sono, poi, i soggetti che ricevono i messaggi su Whatsapp, che leggono i suddetti, con tanto di “sgraffio”, ma omettono di rispondere, senza apparente giustificato motivo. Sarebbe “educato” almeno inviare una faccina (o emoticon) chiarificatore! Altrettanto “maleducata” la prassi di mandare interminabili messaggi vocali, pur sapendo di esporre l’ascoltatore a un monologo, magari mentre si è in ufficio o in riunione con il capo! Una persona educata, poi, ci tiene al decorum, pertanto non diffonde immagini private di sé per non ledere il suo onore e per non essere sgradevole alla vista del prossimo. Fin da piccoli, ad esempio, ci hanno educato al rispetto del nostro corpo, a metterci in posa per la foto con il vestito più bello (si pensi alle foto di classe con tanto di grembiule e fiocco) a sorridere e a dare di noi un’immagine “composta”. Mai e poi mai si sarebbe pensato di esibire foto ritraenti la persona in pose sessualmente esplicite, degradanti o anche semplicemente mortificanti, demenziali o brutte. Oggi, al contrario va molto di moda fotografarsi in tutti i momenti del giorno e peggio ancora, in tutte le situazioni, anche intime, come se l’importante per “essere”, per “sentire”, fosse “mostrare”. Alle volte ciò è solo maleducato, altre volte le conseguenze possono essere più gravi. Mi riferisco, ad esempio al sexting e al porn-revenge, fenomeni sempre più noti per tristi fatti di cronaca. Molti di questi comportamenti sono rischiosi e in tanti casi anche rilevanti penalmente, tuttavia, senza arrivare a tali livelli spesso si scade, comunque nel cattivo gusto o nella maleducazione. Non è educato inviare proprie foto mentre ci si trova in vestaglia o in pigiama nel bagno di casa, nella vita reale non usciremmo mai da casa così, quindi perché diffondere la nostra immagine “disinvolta” nel cyberspazio o condividerla con la nostra rubrica? Perché mostrarci in bigodini, sul water, con i cetrioli sugli occhi, con le dita nel naso, in mutande o a letto con l’influenza? Questa non è la massima espressione della libertà di pensiero, non è una rivendicazione sociale, non è il progresso portato al suo acume: è solo espressione di cattivo gusto, quando non anche di cattiva educazione. Molti dei comportamenti biasimevoli che si tengono on line si potrebbero evitare semplicemente applicando le regole della decenza, del decoro o della “cara, vecchia buona educazione”. Per essere correttamente educati digitalmente, pertanto, non è necessario consultare nessun costoso specialista, basta semplicemente ricordare gli insegnamenti che si sono ricevuti da bambini.
Claudia Ambrosio
Avvocato e Criminologa