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Deep nude e porn-revenge: l’evoluzione della vendetta in rete

Deep nude e porn-revenge: l’evoluzione della vendetta in rete

Abstract: Reati come il porn revenge sono affrontati ora compiutamente dal legislatore con una normativa ad hoc, tuttavia gli scenari proposti dalla rete si arricchiscono di nuovi pericoli sempre più ardui da affrontare per legislatore. Dal porn-revenge al deep-nude.

Uno dei fenomeni più controversi che ha interessato il mondo dei social network è quello della Porn-Revenge, letteralmente “vendetta pornografica”, si tratta di un reato relativo alla pubblicazione, o minaccia di pubblicazione, di materiale video o fotografico che ritraggono individui durante attività sessuali o immortalati in pose sessualmente esplicite, senza il consenso del/della “protagonista” interessato/a.

Il mancato consenso appare rilevante sia sotto il profilo giuridico, ai fini della rilevanza della condotta, sia sotto il profilo criminologico della vittima, poiché la stessa vive questo atto come un sopruso, un’ingiustizia, il tradimento di una fiducia accordata e mal riposta, da ciò possono derivare, infatti, rabbia, sgomento, senso di frustrazione, depressione.

Spesso a queste immagini vengono aggiunti anche i numeri di telefono della vittima, il suo indirizzo di casa, il suo profilo Facebook, in modo che digitando, per qualsiasi ragione, il suo nome su Google, si venga immediatamente in possesso di tutti i documenti che la riguardano, ivi incluse le immagini scabrose pubblicate a sua insaputa.

Come in ogni reato di matrice sessuale, anche per quanto concerne la porn-revenge la quasi totalità degli autori è di sesso maschile e le vittime risultano essere quasi sempre donne, ex-partner.

Sul fronte della vittima, queste azioni comportano umiliazione, lesione della propria immagine e della propria dignità, condizionamenti nei rapporti sociali e nella ricerca di un impiego, forti disagi all’integrità psichica.

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Come noto il 19 luglio 2019 il Parlamento ha approvato la legge n. 69 “Codice Rosso” che affronta il problema della violenza maschile contro le donne con interventi preventivi e repressivi.

La nuova legge sul “Codice rosso” ha introdotto esplicitamente con l’art. 10, il nuovo delitto previsto dall’art. 612 ter intitolato “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”.

La nuova fattispecie incriminatrice si riferisce a due ipotesi tra loro differenti il cui unico denominatore è rappresentato dalla diffusione delle immagini senza il consenso dell’interessato.

La prima ipotesi è sancita dal primo comma del nuovo articolo il quale prevede che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, la condotta incriminatrice è quella di: “chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde, immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate.

La condotta tipica, dunque, si articola in cinque distinte ipotesi (invia, consegna, cede, pubblica, diffonde) il cui tratto in comune è rappresentato dal fatto che il soggetto ritratto non presta il suo consenso alla divulgazione, dal fatto che tali video o immagini riguardino un contenuto sessualmente esplicito e dal fatto che tali immagini o video fossero destinati a rimanere privati ovvero non resi pubblici o divulgati a terzi.

In tali casi la pena edittale prevista è quella della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 5.000 a euro 15.000.

Al contrario l’ipotesi prevista dal secondo comma dell’art. 612 ter, si riferisce a chi pone la stessa condotta tipica prevista nel primo comma, dopo aver ricevuto o comunque acquisito i filmati o i video.

In questo secondo caso, tuttavia, la condotta deve essere caratterizzata da un elemento ulteriore ovvero la finalità di recare danno alle persone rappresentate nelle immagini o nei video dal contenuto sessualmente esplicito.

Infine, gli ulteriori tre commi della norma si riferiscono a due circostanze aggravanti e al regime della procedibilità del reato.

In particolare, con riguardo alle aggravanti la prima è prevista se il fatto è commesso “dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici”, quanto alla seconda circostanza aggravante, invece, essa opera quando il reato è commesso “in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.

Ad oggi, tuttavia a riprova della continua pericolosità del mondo virtuale e dei pericoli che esso cela la situazione non è ancora completamente sotto controllo: una nuova insidia si cela nella rete poco conosciuta ma ugualmente insidiosa, il c.d. “Deep-Nude”.

Il Deep Nude è una particolare forma di Deep Fake, cioè “quel fenomeno per cui delle immagini o dei video che ritraggono soggetti reali vengono rielaborate artificialmente e adattate ad un contesto diverso da quello originario tramite un sistema di intelligenza artificiale”.

Questi software, in sostanza, catturano i caratteri corporei e facciali del soggetto ritratto in un’immagine presente in internet e li rielaborano tramite un sofisticato algoritmo.

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Particolare fattispecie di tale fenomeno è, appunto, il Deep Nude, che, attraverso lo stesso sistema, è in grado di manipolare le immagini di soggetti vestiti, sostituendoli con immagini di nudo adattate alla corporatura del soggetto e alle sue proporzioni.

Il risultato è un’immagine di nudo realizzata artificialmente, ma incredibilmente realistica ne deriva che le “vendette pornografiche” constano, oggi, anche di un nuovo terrificante alleato che consente di ottenere delle immagini totalmente fake ma ugualmente nocive per le vittime.

Il fenomeno sopradescritto presenta una serie di risvolti preoccupanti da un punto di vista giuridico e criminologico: sebbene infatti le immagini siano elaborate artificialmente, è innegabile che, considerato quanto esse si presentano realistiche, possano intaccare la dignità di una persona che si ritrovi a sua insaputa letteralmente nuda sul web.

Al riguardo, è evidente che le immagini realizzate artificialmente e diffuse sul web potrebbero sortire lo stesso effetto di quelle reali sulla reputazione e sulla dignità del soggetto ritratto, con la differenza però che, per quelle reali, l’ordinamento appresta una effettiva tutela giuridica.

Nel caso, infatti, che l’immagine sia reale soccorre la succitata normativa del Codice Rosso con l’espressa previsione dell’art. 612 ter del codice penale; la norma, tuttavia, non sembra potersi applicare anche alle immagini creare artificialmente, benché, come visto, l’offesa al bene giuridico potrebbe risultare la stessa.

Non si potrebbe, infatti, ritenere applicabile tale disposizione anche al caso in cui le immagini diffuse siano artificiali, poiché il principio di legalità del diritto penale comporta, tra le altre cose, che nessuno può essere punito per un fatto che non sia previsto come reato (nullum crimen sine lege) e il divieto di analogia.

Un discorso diverso si potrebbe invece fare nel caso in cui il reato riguardi immagini raffiguranti i minori, in quanto il codice penale prevede uno specifico reato di “pornografia virtuale” all’art. 600 quater, si considerano infatti integrati i reati di pornografia minorile e di detenzione di materiale pornografico anche nel caso in cui le immagini dei minori siano realizzate con tecniche di elaborazione grafica associate in tutto o in parte a situazioni reali.

Tuttavia, anche tale la norma, sembrerebbe potersi inquadrare in una generale intenzione del legislatore di prevenire e scoraggiare il fenomeno della pedopornografia, ma non adeguata a tutelare dal fenomeno del Deep nude.

 Ad oggi, pertanto, ove ne ricorrano i presupposti possono trovare applicazione altri reati, come ad esempio quelli di estorsione, di violenza privata, o diffamazione a mezzo internet           che, tuttavia, appaiono inadeguati alla tutela specifica del fenomeno in esame.

In assenza di una previsione specifica ad oggi è in discussione una proposta di legge che prevede l’inserimento nel codice penale dell’articolo 612- quater, “per punire chi invia, cede, pubblica o diffonde immagini manipolate di nudo appartenenti a persone fisiche riconoscibili, attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici e di App, allo scopo di trarre in inganno l’osservatore. Viene prevista una multa da 6.000 a 16.000 euro e la reclusione da due a sette anni, con pene aumentate nel caso in cui il reato sia commesso da un parente”. 

Una previsione ad hoc potrebbe essere utile non solo per affrontare il problema in modo più mirato e quindi più efficace, ma anche come deterrente tuttavia è necessario ripensare a tutto il sistema con cui i social network e i provider in generale collaborano con le autorità giudiziarie dei vari Stati. 

Le leggi attuali di contrasto alla criminalità informatica, infatti, non sono sufficienti, basti pensare alle difficoltà che hanno le vittime di cyber-crime a far valere i loro diritti ed in più il tempo per ottenere l’oscuramento di un sito è troppo lungo e spesso avviene solo a livello nazionale e non mondiale, con evidenti limiti nella tutela di chi è colpito da queste forme di persecuzioni.

Anche il Garante della Privacy ha, di recente, aperto un’istruttoria nei confronti di Telegram dopo che alcuni utenti avevano manipolato delle foto di ragazze tramite il “Deep Nude,” sui possibili risvolti negativi di un’eventuale diffusione incontrollata delle immagini così prodotte, nonché del possibile rischio che le stesse vengano utilizzate a fini estorsivi o lesivi per le vittime.

Ad oggi la risposta definitiva per il contrasto al fenomeno del deep nude non è ancora stata data, tuttavia, esso ha ancora allertato sulle possibili conseguenze negative dell’uso incontrollato dell’immagini personali on line e sulla potenziale forza distruttiva ed espansiva della rete se si naviga senza adeguata tutela.

Claudia Ambrosio - Avvocato e Criminologa

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