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Internet fa bene ai bambini? di Massimiliano Nespola

Internet fa bene ai bambini? di Massimiliano Nespola

Buone pratiche hanno bisogno di teorie all’altezza … ma che cosa c’entra tutto questo con il titolo di questo articolo? Parliamone e tutto sarà più chiaro. Occupandoci di mezzi di comunicazione di massa e società, sappiamo infatti che lo spazio per la riflessione teorica su di essi è stato segnato nel tempo da un susseguirsi di evoluzioni e ripensamenti, anche in tempi recenti. È noto, peraltro, che studiare le teorie sull’influenza dei mezzi di comunicazione di massa sulla società non è un’attività fine a se stessa, al contrario: consente di comprendere meglio gli effetti sul pubblico di quelli che di per sé sono oggetti paragonabili a un soprammobile (per esempio, la tv tradizionale) o a uno strumento portatile (per esempio, il cellulare) e di comprenderne anche i possibili usi.

Esiste, non a caso, tra le teorie, quella degli “usi e delle gratificazioni” connesse al consumo mediatico. Elaborata attorno agli anni cinquanta, è una teoria interessante e ancora attuale, perché consente di fungere da ponte con le pratiche di utilizzo dei mezzi di comunicazione. Ci aiuta altresì a comprendere che gli individui hanno un ruolo attivo e consapevole, quando ne fruiscono. Oggi questo è evidente, ma dobbiamo immaginarci il mondo di settant’anni fa: senza internet, senza videocamere nelle città, senza interattività, abituato da qualche decennio alla radio e da ancor meno tempo alla televisione.

Questa premessa appare indispensabile per meglio rispondere al punto interrogativo iniziale. E cioè: quali sono le premesse in base alle quali l’utilizzo di un mezzo oggi ricco e complesso come internet può essere finalizzato a scopi costruttivi – magari educativi? Sappiamo che oggi i giovani, che pure sono una categoria sfuggente e di non semplice definizione, rappresentano la categoria entro cui maggiormente rintracciare – se non altro, guardando alle statistiche – l’utente di internet attivo e consapevole delle potenzialità del mezzo. Con Internet e, più in generale, con i processi di digitalizzazione, si è elaborata la categoria di “nativo digitale”.

Con del cauto ottimismo, si può pensare, in positivo, alle potenzialità che sono racchiuse in questa capacità dei giovani di arrivare prima e meglio a comprendere i nuovi media: là dove arrivano spontaneamente a capire determinate funzioni, perché la tecnologia è stata “disegnata su misura per loro”, anche tenuto conto di un risvolto commerciale, possono nascere nuove opportunità di dialogo con gli adulti. L’esperienza delle figure di padre e madre, di nonno e nonna, un po’ in ansia per l’educazione da dare ai più piccoli, di docente impegnato, tra una lezione e l’altra, anche a contrastare il bullismo a scuola, possono poi, anzi, devono, poter contribuire a instaurare dinamiche intergenerazionali costruttive.

Immagine con licenza Creative Commons tratta da: https://www.flickr.com/photos/lyonora/478103064

Ecco quindi un possibile e auspicabile scenario: siccome le innumerevoli potenzialità dei nuovi media digitali sono note ai più giovani, è loro compito contribuire alla comprensione di questi linguaggi. Sul piano dei contenuti e dei valori, sarà poi necessario l’indirizzo fornito dai più grandi, per poter dialogare meglio, alimentare rapporti umani costruttivi, in famiglia, in società, nella vita di tutti i giorni, grazie ad un uso consapevole dei nuovi mezzi di comunicazione. Sono insomma numerose le buone pratiche che si possono realizzare, partendo da una cornice teorica di riferimento, e comprendendo che i nativi digitali rappresentano una categoria sociale sfuggente ma, proprio per questo, molto importante per orientarsi e non disperdersi nel complesso panorama comunicativo attuale.

Massimiliano Nespola - Giornalista pubblicista

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